51. Il ventennio di dittatura

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N/A: il capitolo é stato richiesto da AliciaMentasti , che mi spinge a creare cose angst più del normale.

Espero possa, almeno in parte, soddisfare anche una delle richieste di _Ev1n4_ , cioè quella di vedere le interazioni di Carlo con i fratelli del Nord.

Piccolo disclaimer: si tratterà del fascismo, delle sue ideologie e della sua dittatura, ecc... Anche se tutto sarà abbastanza all'acqua di rose, se qualcuno é sensibile a riguardo, non legga il capitolo.

Per tutti gli altri, buona lettura.

-Anno: 1919-

La prima volta che Carlo sentì, girando per Milano, dei "Fasci italiani di combattimento" non ci fece molto caso: era un nuovo partito politico come un altro, che nasceva e sarebbe rimasto a marcire nel suo angolino.

Quando, però, nel 1921 venne a conoscenza che alcuni suoi esponenti erano entrati in parlamento, e che altri avevano partecipato alle rivolte del periodo, il cosiddetto biennio rosso, la sua curiosità fu leggermente destata.

Questi fascisti parevano essere più insisteni e persistenti di quanto creduto.
Perciò, incuriosito, decise di approfondire di più la questione e vedere per cosa questi umani si battessero.

E si sentì bruciare il sangue nelle arterie e vene a leggere alcuni discorsi trascritti in raccolte organiche,apprendendo le loro ideologie.

Si rispecchiava più di quanto avrebbe mai creduto.
Capiva il disprezzo per tutte le altre ideologie; era il suo medesimo disgusto per quel governo che aveva condotto scelte penose e portato l'Italia a essere uno zimbello.

Approvava l'esaltazione dell'antica Roma, il desiderio di ritorno a quel tempo, l'unico vero periodo in cui si era sentito davvero vivo.

Concordava con la valorizzazione della gioventù, dato che il partito si proclamava come scaturente di una rivoluzione generazionale, rivolta pure a salvaguardare i giovani, il futuro del mondo.

E lui era perennemente giovane, era sempre aggiornato sulle notizie e lui avrebbe potuto essere creduto, perché sarebbe stata apprezzata l'elasticità di mente e non la saggezza dell'apparente vecchiaia.

La credenza della gerarchia, così giusta e veritiera: c'era chi era destinato a governare e chi ad obbedire.
E lui era fatto per essere nel primo gruppo.

E, non meno importante di tutte, l'affermazione della valorizzazione della violenza. Quanto non riusciva a soffrire Feliciano, per quel lato: il pacifismo ti porta solo ad essere un debole codardo, niente di più!

In questo mondo senza violenza non si va avanti, bisogna versare sangue e portare dolore ad altri per vincere ed essere potenti.

Quindi fu piacevolmente sorpreso e deliziato quando, nel 1922, Mussolini marciò su Roma e ottenne dal re la carica di primo ministro.

Mentre altre regioni si mostrarono perplesse o spaventate, lui era eletrizzato sotto la sua solita maschera di pietra.
L'Italia avrebbe potuto essere potente, come quando Romulus era ancora in vita, e allora lui sarebbe stato di nuovo vivo, completo.

Per una volta, voleva credere davvero in una ideologia, in una causa che trovava veritiera e che avrebbe potuto ridargli quelle emozioni che non percepiva come tutti gli altri.

Fidarsi del male fu sempre così facile.

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