146. Luglio 1992

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N/A: non so perché ma per ora sto continuando sulla scia di 'capitoli introspettivi a bestia' sui personaggi e devo dire che non mi dispiace, anche se ho finito di scrivere questo capitolo in treno e lo sto pubblicando in treno, sperando 'sto stronzo non faccia ritardo -.-

Spero comunque che possiate lasciare una stellina e un commentino se non fa troppo cagare e buona lettura!





25 luglio 1992

Giovanna, seduta in mezzo alla terra, tiene gli occhi fissi avanti a sé, ignorando il paesaggio, persa da giorni in un mondo contorto tutto suo, dopo il lancinante dolore del recente 19 luglio.

Era in soggiorno, stava chiacchierando, quando urlò dal dolore, la mano destra distrutta come se fosse stata schiacciata da un camion. Inoltre, la testa era stata colpita da un'emicrania lancinante, come se mille unghie stridessero su delle lavagne proprio nelle sue orecchie, mentre un'inesplicabile senso di crudele vittoria le scaldava il petto.

Il parapiglia si scatenò alla sua reazione e presto scoprirono il perché. A 57 giorni dalla morte di Giovanni Falcone, avvenuta il 23 maggio, sempre con consequenze disastrose su di lei, alla fine la mafia ha reclamato il pegno a Paolo Borsellino, prendendogli la vita per tutti i guai causati a loro danni.

Giovanna era a malapena riuscita ad uscire da quel tunnel di odio e crudeltà in cui era finita a maggio: lo aveva percepito dentro la sua pelle che non avevano finito, nonostante silenziosamente festeggiassero del loro successo.

Ma avrebbe potuto prevenire qualcosa, da sola? No, assolutamente no. Sapeva già che sarebbe avvenuto qualcosa anche a Falcone, ma non avrebbe potuto evitarlo.

Non controllava a pieno quegli uomini, anzi, era la mafia a insidiarsi nella sua mente e suggerirle idee crudeli. Era un essere millenario, aveva visto e creato tanto dolore, ma l'umanità ancora riusciva a sorprenderla con la sua cattiveria.

Si sente priva di scopo, svuotata di tutto, in lutto per Paolo Borsellino, per Giovanni Falcone, per i loro familiari in lutto, per gli uomini della scorta morti e le loro famiglie in lutto, per la lotta contro la mafia arrestata e per la sua terra, per se stessa.

Avrebbero potuto cambiare qualcosa, stavano già facendo qualcosa, ma tutto è stato arrestato.
Perché la mafia non ha limiti, vuole tutto per sé e smantella ciò che gli va contro.

No, non smantella. Disintegra, distrugge, spezza e trita in polveri finissime tutto ciò che è un ostacolo.

Carmela esce in giardino, sollevata di aver trovato la madre. È da giorni ridotta in questo stato, ferita e abbattuta. Lovino è venuto da loro, a cercare conforto nei suoi figli e a darlo a Giovanna, ma lei ha respinto tutto e tutti.

La lucana non sa se l'ha mai vista così abbattuta nella sua lunga vita. La mamma è una donna portentosa che reagisce con grinta alle ingiustizie e ai torti che subisce, forse pure con fin troppa rabbia.

Ma non è qualcuna che si piange addosso. Sa ormai a memoria le parole che ha ripetuto a lei e ai fratelli e a Lovino per secoli e secoli: "Non è disperandosi che il dolore va via, è lottando. Si può piangere, sì, ma non si può diventare inerti."

Purtroppo ora è lei quella inerte, quella che non elabora il dolore e vi reagisce. Per una volta, vuole essere Carmela il supporto alla mamma, perché a quanto pare è stato raggiunto il suo punto di rottura.

Si avvicina e si siede, per terra, accanto a lei, silenziosa, aspettando che l'altra dia segno di riconoscere la sua presenza.

La sicula non fà alcunché, prosegue immobile a guardare con occhi persi il paesaggio avanti a sé, in una spirale muta di dolore.

<Mamma.> spezza il silenzio, ma solo per qualche frangente, perché Giovanna non si muove.

Carmela stringe le mani a pugno, frustrata. Si sente impotente. Arrabbiata.

La prende per una spalla e la scuote con forza: che metodo d'urto sia.
<Sicilia!> questa volta la richiama. Se non può far leva sulla parte di lei umana, sfrutterà quella ufficiale, il motivo per cui sono nati.
Rappresentare e governare un territorio.

Finalmente Giovanna volta il capo e la osserva, aggrottando le sopracciglia.
<Lasciami in pace.> impone.
<Ma neanche per sogno!> ribatte la lucana <Non quando sono giorni che eviti tutti noi, perfino Lovino, per Dio!>

<Ci sarà un motivo, no?> domanda retorica la più anziana.
<Non lascerò distruggerti. Ti serve aiuto, anche se non l'ammetti.> decreta la sorella.

<E cosa può fare un aiuto? Tuo o degli altri? Riportare indietro Falcone e Borsellino e tutte le altre povere persone morte con loro? Sbattere in cella e buttare via la chiave di tutti i mafiosi nei miei territori e non?> inquisisce, incalzante, Giovanna, alzando sempre di più la voce.

Nel pesante silenzio che segue Carmela ribatte: <Non cambia il passato, ma cambi il presente.>
La sicula la guarda accigliata e richiede risposte in modo silenzioso.

<Non sei la sola che soffre di questo, mamma. È stato un attacco alla speranza non solo siciliana, ma anche di tutta l'Italia.>  asserisce Carmela.

La madre la guarda con stupore ma la lucana non si ferma per analizzarla perché ha socchiuso una porta piena di dolore e paure e ora deve per forza spalancarla, sa che non si richiuderà finché non sarà vuota.

<Abbiamo sentito, io, Lovi, Beppe, Miche' e Vince, che qualcosa di... freddo e viscoso ha provato ad aggrapparsi alla nostra mente, urlando trionfante. Qualcosa dentro di noi ha bruciato, come se un istinto animalesco fosse scattato ma non aveva senso perché ci diceva di distruggere tutto ciò che va contro la mafia, renderlo succube di questa in silenzio.> blatera Carmela, neanche così sicura di essere coerente.

Ma ha bisogno che Giovanna capisca che non è sola, che loro soffrono con lei e che non è giusto si isoli, perché sarà preda facile di quella voce crudele.

E quindi continua: <Ed è stato orribile, sono stata terrorizzata quando ho sentito questa vittoria malsana dentro di me e ho capito che allora la situazione sarebbe peggiorata, che avrei dovuto lottare ancora di più per non far vincere loro, quei bastardi che non meritano niente.>

La voce le si spezza in un singulto mentre conclude: <Ma ho paura, mamma, abbiamo tutti paura e non vogliamo che tu stia da sola a piangerti addosso senza farti vedere da qualcuno. Hai tutte le ragioni per star male, ma non sei sola... E non ti fa bene.>

E scoppia a piangere, perché quella presa viscida e ferrea non l'ha ancora abbandonata dal fatidico 19 luglio da poco passato. È leggermente diminuita, sì, ma la tiene in pugno come una marionetta e deve lottare per non farsi muovere dai suoi burattinai.

Giovanna spalanca ancora di più gli occhi e, per la prima volta da giorni, guarda la sorella con totale attenzione e interesse, riscossa da un torpore inamovibile. A quanto pare bastava l'empatia.

Ciò che l'ha resa madre, ciò che l'ha affezionata ai suoi 'fratelli' e al suo 'capo'... e ciò che la differenzia da quei mostri.
Lacrime calde e lente scorrono anche sulle sue guance mentre stringe con forza Carmela, timorosa possa sparire in un attimo come la vita di quei due eroi per l'Italia e soprattutto la sua terra.

E Giovanna piange, piange e piange. Versa lacrime perché Carmela piange, perché realizza che anche gli altri suoi cari stanno soffrendo come lei, per se per le preziose vite che lei ha perso e per ricordare a quella parte estranea a sé ma dentro di lei che non cambierà.

Non sarà succube della mafia fin nel midollo finché proverà empatia e finché crederà che la giustizia sia un'ideale da perseguire giorno per giorno.




N/A: e niente, stranamente non avevo ancora fatto un capitolo su questo evento decisamente importante e ho deciso di rimediare.

Non so quanti errori ci siano, se non capite qualcosa fatemi sapere che provvedo.

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