6. Il sonetto indimenticabile

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Sofia è una di quelle persone che paiono essere composte solo di ghiaccio. Razionale e acculturata, con il suo sguardo calcolatore giudica tutto e tutti.

Ma dentro, e non solo, ha un animo simile a quello della sorella Anna, allegro e vivace. Ma é anche vero che, per alcuni versi, rassomiglia più a Carlo che ad altri.

E poi, si é abituata e quasi le piace il ruolo che ha: si sente importante, potente nonostante tutto, ed é un ottimo modo per tener lontani dal cuore gli insulti detti dai propri cittadini, dagli italiani in generale o dai fratelli negli scatti d'ira.

Ma anche lei é stata piena di spirito, tutt'ora la é, ma sotto la sua maschera professionale.
Nel Medioevo, però, così non era.
Col volto ancora più giovane di quel che ha nei tempi odierni, senza occhiali, i capelli non così gonfi e l'immancabile ricciolo, passeggiava per le strade di Bologna, fingendosi una figlia di qualche borghese emergente.

Ed é stato durante una di quelle passeggiate lungo le strade, lasciandosi circondare dal perbenismo che soffiava nei cuori dei suoi cittadini, che lo aveva incontrato.

Guido Guinizzelli, l'iniziatore del Dolce Stil Novo, mentore di Dante Alighieri.
Un uomo colto, interessato alla nuova corrente letteraria che, dalla Sicilia, era arrivata fino in Toscana e da lì pure nella sua città.

Guinizelli, quando ancora aveva solo 25 anni, stava leggendo in uno dei parchi della città, studiando la fonetica di quel volgare non del tutto familiare.

Stava leggendo una poesia a voce alta, nella sicurezza che quell'angolo di parco era poco noto e poco frequentato, specialmente ad un'ora come il mezzogiorno.

<Io m'aggio posto in core a Dio servire,/ com'io potesse gire in paradiso,/ al santo loco ch'aggio audito dire,/ u' si manten sollazzo, gioco e riso. /Sanza mia donna non vi voria gire,/ quella c'ha blonda testa e claro viso,/ ché sanza lei non poteria gaudere,/ estando da la mia donna diviso.> erano le prime due quartine della poesia.

Sofia, che passava di lì, senza neppure consciamente accorgersene, si avvicinò di più e prese a recitare la poesia, imparata a memoria: <Ma non lo dico a tale intendimento,/ perch'io peccato ci volesse fare;/ se non veder lo suo bel portamento/ e lo bel viso e 'l morbido sguardare:/ ché lo mi teria in gran consolamento,/ veggendo la mia donna in ghiora stare.>

L'uomo si accorse allora di tale presenza e sobbalzò sul posto, spaventato.
Sofia si accorse della gaffe fatta e si affrettò a dire: <Mi perdoni, buon uomo, dell'interruzione. Il core ha preso sopravvento della ragione.>

Guido, però, si era concentrato su altro e chiese: <Lei conosce tali versi... come?>

<Come figlia di mercante non ho molto da fare, se non aspettare di essere data in sposa. Così ho insistito e mio padre mi ha dato un tutore per leggere e far di conto. Mi sono interessata alle poesie e diverse le ho comprese, imparate a memoria e abbellite nella recitazione fatta da me per me e gli ospiti di cene importanti> rispose la personificazione di regione, mentendo in parte.

Guinizzelli si stupì a tale risposta, rimanendo muto. La campana della chiesa di città suonò e Sofia, inchinandosi, si auto-congedò.

<A-aspetti, gentil donna!> la richiamò allora il giudice. Lei si voltò, lo sguardo nocciola brillante di curiosità: <Sì?>
<Se mai domani passeggiaste ancora per codesti luoghi... potrebbe fermarsi a conversare? Sarei onorato.> propose l'uomo.

Sofia sorrise leggermente e fece: <Con piacere, signore.> e se ne andò.
E così nacque lentamente fra loro un legame profondo e forte. Pochi anni dopo, però, Sofia capì che era un danno star vicino a quell'umano, perché avrebbe solo sofferto alla sua inevitabile morte.

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