36. Tristezza, gioia e "Savo"

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Rita camminava con tranquillità per quei ampi e curati giardini.
Sorrise radiosa quando vide il gazebo di legno bianco e circondato da piccole siepi di rose variopinte.

<Ciao.> salutò la sarda, muovendo appena la mano.
<Buon pomeriggio, Ass-Rita.> si corresse Roberto, vestito elegante e seduto nel piccolo posto riparato.

<Non ti preoccupare, Savo. So benissimo che ti devi ancora abituare al mio nuovo nome. Ogni tanto mi dimentico pure io di non essere più Assunta.> lo perdonò Rita, quasi accasciandosi vicino al fratello sulla panchina di legno, togliendosi il cappello.

I capelli castani, lunghi e ondulati, potevano ora ricaderle disordinatamente sul volto e sulle spalle. Sciolse anche la sottile mantellina gialla che portava, poggiandola accanto a sé.

<Stai meglio ora?> chiese il piemontese e la sarda annuì.
<Odio questi vestiti> borbottò la ragazza, poggiando un braccio davanti gli occhi e lasciandosi andare in una seduta più scomposta.

<Lo so, lo so. Lo ripeti spesso.> commentò a bassa voce Roberto.
Rita spostò leggermente il braccio e guardò mezzo storto il ragazzo accanto.
<Non voglio lamentarmi troppo di loro in tua presenza.> bofonchiò lei.

<Mi dispiace che ti trattino così.> si scusò il piemontese, sincero.
Rita gli sorride dolcemente, si rimise meglio seduta e rispose: <Lo so, lo dimostra che sei qua con me, Savo! Per me é come un sospiro di sollievo da questo stile di vita che proprio non fa per me.>

Roberto sorrise leggermente, sempre sollevato di sentirla dire così.
<Secondo te... anche con gli altri faranno così?> domandò Rita dopo qualche secondo di silenzio.

<Gli altri?> chiese il piemontese, confuso.
<I nostri fratelli. Quando riusciremo a riunirci tutti... li tratteranno così? Perché se così fosse, reali o non reali, io quelli lì li uccido.> affermò la ragazza.

<Non accadrà.> affermò lui, anche se non ci credeva fino in fondo.
Lei lo guardò con scetticismo.
<Se ci saranno anche le due Italie, eviteranno che vi facciano del male.> spiegò Roberto.

<Forse Italia del Sud lo farà per i suoi. Italia del Nord... chissà se gli importa di noi. Forse ci odia o non ci riconosce come suoi territori. Starà attento solo a Venezia...> sospirò Rita, il risentimento chiaro nella sua voce.

<Io, in ogni caso, dubito importerò. A chi vuoi che interessi una... isola come me, sempre sotto il controllo di altri... e povera e sola?> domandò retorica la sarda, la voce un sussurro.

Il tono era carico di melanconia, come gli occhi lucidi, che parevano pronti a fare uscire lacrime a profusione di lì a poco.

Si coprì gli occhi con il braccio, per evitare di farsi vedere totalmente debole. Era Sardegna, era fiera di portare avanti le sue tradizioni nella sua terra lontano da tutti ed era forte.

Doveva esserlo.

<Ma é la mia esistenza: sono sola da quando sono nata.> affermò la sarda.
Il piemontese la lasciò sfogare, anche per inesperienza. Non era abituato a consolare le persone.

<Son stata sotto il controllo di Romulus, alcuni miei territori mi sono stati sottratti per tempo da Rosa e Toscana, sono stata sotto il dominio di Spagna e Austria per secoli e ora sono territorio di questi che mi disprezzano come gli altri se non peggio, nonostante sia sposata con te. E ogni volta... non mi sono mai sentita a casa fuori dalle mie terre, che alcune volte ho perfino sentito soffocanti.> ammise Rita, togliendo il braccio.

Fissò il soffitto del gazebo e il cielo terso che si intravedeva dagli spazi appositamente romboidi lasciati fra una tavola di legno e l'altra.

<É una vita che sono sola, in compagnia di solo il mio popolo. E io a loro bene, tantissimo, voglio, però... alcune volte mi sento tagliata fuori dal mondo. Non voglio guerre, le odio di per sé; combatto solo per la mia libertà. Però mi piacerebbe essere vicino ad altri, in maniera pacifica... e chiacchierare, divertirmi un po'.> raccontò, gli occhi lucidissimi e un mesto sorriso dipinto sulle labbra.

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