PARTE TERZA - Capitolo 6 (VIII, prosegue...)

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   L'auto non ne voleva sapere di partire.

   Quella parola, quel morirai le martellava la testa, la faceva singhiozzare rumorosamente.

   Un altro messaggio le recò la stessa minaccia.

   L'aria attorno all'autovettura era immobile e scura, tanto silenziosa e minacciosa.

   Monica Clujsters colse un lento movimento nello specchietto retrovisore: le porte dell'ascensore, che dai parcheggi portava all'edificio principale, si erano spalancate. La luce che ne uscì allentò per un istante l'agitazione della donna. Poteva essere Henry, oppure una delle altre guardie; qualcuno che usciva dal lavoro a quell'ora tarda; qualche medico o infermiera impegnati nei turni serali, che magari aveva dimenticato qualcosa. Tutte quelle ipotesi, ipotesi plausibili, le infusero un minimo di coraggio.

   Uscì dalla macchina, sbattendo in modo violento la portiera, nel tentativo di fare più rumore possibile, per segnalare la propria presenza.

   <<Sono la dottoressa Clujsters, c'è qualcuno?>>

   A parte il suo eco, un suono spettrale che sembrava prendersi gioco di lei e delle sue paure, non ci fu risposta.

   <<C'è qualcuno?>> ripeté con voce implorante.

   Silenzio gelido.

   Perdendo sempre più le speranze che credeva di avere ritrovato poco prima, decise che sarebbe corsa verso l'ascensore aperto. Poi sarebbe salita nel suo ufficio, e da lì non avrebbe più mosso un passo, anche a costo di passarci la notte. La tranquillità era a portata di mano, le spalancava le sue rassicuranti braccia metalliche, a poco più di una trentina di metri di distanza. L'ascensore era la meta da raggiungere il prima possibile.

   I sottili tacchi delle scarpe della donna ruppero il silenzio del parcheggio, rendendo la situazione ancora più inquietante.

UN DOLORE OSCURODove le storie prendono vita. Scoprilo ora