23. Erode

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ante diem I Kalendas Martias 6 d.C

Il mattino delle nozze è permeato dalla luce dorata del sole che filtra attraverso le finestre. Livia mi aiuta ad indossare l'abito da sposa, una creazione maestosa dai toni avori e oro, con ricami che evocano la bellezza e la storia. Il tessuto cade leggero intorno a me, creando un'aura di eleganza e grazia. La gonna fluida scivola delicatamente sul pavimento, mentre il corpetto aderente sottolinea con grazia la mia figura. Il velo, sospeso con leggerezza, aggiunge un tocco di mistero e romanticismo. Indossando questo abito, sento di portare con me secoli di storia e tradizione, pronta a iniziare un nuovo capitolo della mia vita.

"Sei splendida, Daphne," dice con un sorriso, ma i suoi occhi sembrano tristi, pieni di desiderio represso. Le sorrido senza però risponderle. "Vorrei stare un po' da sola" le dico. Lei fa un inchino lasciando la camera.

"Madre", pronuncio il nome in un sussurro. Mi avvicino allo specchio, lo sguardo fisso sul riflesso di quella che sono diventata. Indosso il peso di un matrimonio imposto, di un destino che si compie indipendentemente dalla mia volontà. "Quest'uomo non sembra amorevole, né dolce come lo era Marcus, non sembra comprensivo come Ptolomeo, sembra più aggressivo e esigente come il primo dei miei mariti, quello che mi ha portato via tutto per primo" mormoro, cercando conforto nelle parole rivolte a Venere nella speranza che mi risponda. "Madre, chiedo la tua guida. Non desidero avere figli da questo matrimonio imposto, non voglio che la vita di innocenti sia legata a una catena di cui io stessa sono prigioniera. Ti prego, ascolta la mia preghiera e proteggimi da un destino che sento ingiusto." Il mio sguardo si posa sul riflesso nello specchio, e una confessione sottolinea la fragilità del mio cuore. "E, madre, confesso che il mio cuore non appartiene a un uomo, ma a un'anima gentile e compassionevole che cammina al mio fianco, Livia, e in lei ho scoperto un amore che va al di là delle convenzioni imposte dalla società." La confessione sospesa nell'aria porta con sé la paura del giudizio, ma anche la liberazione di essere sincera con la dea che governa gli affetti.

La solitudine si fa strada mentre mi preparo a diventare la sposa di Erode Archelao, una figura di potere che si staglia come una scura ombra sul mio destino.

Il suono di campanelle annuncia l'arrivo di Livia, che rientra nella stanza con il volto sereno. "Siamo pronte," dice con un sorriso forzato. La seguo senza pronunciare una parola, mentre il silenzio avvolge il nostro cammino verso il futuro incerto.

Nella grande sala del palazzo, Erode Archelao attende con un'espressione composta, circondato dalla sua corte. La cerimonia inizia con la solennità di un rito antico, e io, vestita di bianco, avanzo lentamente verso l'uomo che sarà mio marito. Il mio sguardo si intreccia con quello di Livia, e in quel momento di connessione, trovo conforto.

Erode Archelao, con uno sguardo dominante, pronuncia le parole del rito matrimoniale. "Daphne, accetti Erode come tuo legittimo sposo, di onorare e obbedire?" chiede con tono autoritario. Guardo Livia, che mi offre un sorriso di incoraggiamento. "Accetto," rispondo con voce ferma, ma le parole pesano sul mio cuore come catene. Gli anelli vengono scambiati, e sento la fredda presa di Erode sulla mia mano.

Mentre la folla applaude sento il peso delle aspettative su di me. Il banchetto nuziale è un susseguirsi di discorsi e brindisi, ma la mia mente vaga altrove. Mentre le risate e le congratulazioni riempiono l'aria, il mio sguardo si perde nell'orizzonte.

La quinta notte di nozze avvolge la stanza di una luce dorata. Erode si avvicina con una presenza imponente, il suo sguardo è bramoso ma la mia mente, tuttavia, è distante, ancora legata al passato e ai fantasmi dei miei affetti perduti.

Erode sfiora la mia guancia, ma il contatto è come una carezza di vento freddo. "Daphne," mormora, la sua voce una melodia sinistra. "Per favore, dammi del tempo," supplico con occhi imploranti. Livia, dall'ombra, osserva con occhi preoccupati, ma Erode è inesorabile. "Il tempo è un lusso che non puoi permetterti, mia cara regina," dichiara con fermezza, ignorando le lacrime che solcano il mio volto. La sua determinazione è come una morsa, imprigionando la mia volontà.

Le sue mani, grandi e forti, cercano di stringere la mia pelle, ma io resto immobile, incapace di rispondere al suo tocco. Entra con violenza e nel buio di quella stanza, il mio spirito lotta per liberarsi dalla prigione di un matrimonio che non ho scelto.

La notte scorre tra ombre e gemiti soffocati, e la mia anima, ferita e stanca, implora per una via di fuga che sembra sempre più lontana. In quel silenzio pesante, le parole di Erode risuonano come un'eco spettrale. "Sposarti è stato il mio diritto, Daphne. La tua resistenza è inutile. Sarai mia, corpo e anima." La sua voce è fredda, senza compassione, mentre la stanza si riempie di un'atmosfera carica di tensione.

Il letto matrimoniale diventa un teatro di sofferenza e oppressione, le lenzuola testimoniano il peso di un'unione che strozza la libertà. Livia, nella penombra, mantiene uno sguardo impotente, i suoi occhi riflettono la compassione e l'impotenza di fronte a un destino crudele.

Le ore passano lentamente, come se il tempo stesso rifiutasse di fluire in quell'abisso di angoscia. Nel buio della notte, cerco un rifugio nei recessi della mia mente, lontano da quel corpo che mi appartiene solo nella forma, non nello spirito.

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