171. Peste Inglese

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30 novembre 1665d.C

La peste si diffonde come un'ombra mortale su tutta l'Inghilterra, portando con sé dolore e disperazione. Le strade che una volta erano vive di suoni e movimento ora sono deserte, avvolte nel silenzio di una tragedia incombente. Nel palazzo reale, ci prepariamo al peggio. Le guardie vigilano sulle porte, cercando di tenere fuori il contagio, mentre noi ci rifugiamo nelle nostre stanze, sperando che la malattia non bussi alla nostra porta. Le notizie che giungono dai villaggi circostanti sono sempre più cupe. Le persone muoiono in massa, le famiglie vengono spazzate via in un batter d'occhio. La paura si insinua ovunque, avvelenando l'aria con il suo veleno. James guarda fuori dalla finestra, il viso segnato dalla preoccupazione mentre osserva il caos che avvolge il mondo al di là delle mura del palazzo. La peste non risparmia nessuno, né ricchi né poveri, né nobili né comuni. È un nemico implacabile che non conosce pietà.

Mi siedo accanto a James, il suo dolore palpabile nell'aria intorno a noi. Le sue spalle sono curve dal peso della perdita, e i suoi occhi sono annebbiati dalle lacrime. Metto una mano sulla sua spalla, cercando di offrire un po' di conforto nella nostra comune tristezza. "James, mio caro," sussurro dolcemente, cercando di trovare le parole giuste per alleviare il suo dolore. "So quanto sia difficile perdere coloro che amiamo."

James si volta verso di me, i suoi occhi rossi e gonfi dalla tristezza. "Mamma," mormora con voce rotta dall'emozione, "è così difficile accettare che non ci siano più."

Stringo la sua mano con forza, cercando di trasmettergli tutto il mio amore e il mio sostegno. "Lo so, James. Ma dobbiamo trovare la forza di andare avanti, per noi stessi e per coloro che abbiamo perso. Va a preparati per il funerale. A noi nobili non è consentito piangere, non in publico" affermo allontanandomi. La signora mi guarda con occhi pieni di compassione, ma le sue parole mi trapassano come una lama affilata. "Mi dispiace, Lady Daphne," dice con voce sommessa, "ma volevo informarvi che vostro figlio James... si è tolto la vita."

Il mondo sembra svanire intorno a me mentre le sue parole mi colpiscono come un pugno allo stomaco. Non posso credere a quello che sento, la mia mente rifiuta di accettare una realtà così terribile. Le lacrime sgorgano senza freni dai miei occhi mentre cerco di venire a patti con questa terribile verità. Mi avvicino al suo corpo, ormai freddo e inerte, e lo abbraccio stretto come se potessi ancora proteggerlo dal male che lo ha tormentato. "James," sussurro con voce rotta dall'angoscia, "perché hai fatto questo? Perché mi hai lasciato così presto?"

Ma le mie domande rimangono senza risposta, perse nell'oscurità che ora avvolge il mio cuore. Rannicchiata in un angolo buio della mia camera, imploro silenziosamente i miei genitori divini di darmi una via di fuga da questo mondo di dolore. "Per favore," sussurro, la voce rotta dal pianto, "portatemi via da qui. Non posso sopportare più questa sofferenza. Voglio solo essere con voi, nell'Olimpo, lontano da tutto questo."

Le mie parole si perdono nell'aria, ma nel profondo del mio cuore sento una risposta. Una sensazione di calore mi avvolge, come un abbraccio familiare, e so che i miei genitori divini sono con me, anche se non posso vederli. Con un ultimo sospiro di rassegnazione, chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dalla loro luce verso un luogo lontano dalla miseria terrena.

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