154. Lissa

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12 dicembre 1615d.C

Dopo quei momenti di intimità, il tempo sembra scorrere lentamente nel convento, avvolto nel silenzio e nella tranquillità. Mentre mi trovo nella mia cella, intenta a riflettere sui recenti avvenimenti, un brivido di terrore mi attraversa la schiena quando la porta si apre con un scricchiolio sinistro "Chi è là?" chiedo con voce tremante, il cuore martellante nel petto mentre cerco di cogliere un indizio sulla misteriosa visitatrice. La risposta è un sibilo sommesso, carico di malvagità. "Sono tornata per te, Daphne," sibila con voce sottile, i suoi occhi folli brillano di una luce sinistra. Lissa entra nella stanza con un passo lento e sinistro, il suo sguardo folle fissa dritto verso di me, come se potesse leggere ogni pensiero che attraversa la mia mente. I suoi capelli svolazzano intorno al viso come una tempesta in pieno svolgimento, mentre il suo sorriso malvagio trasuda una malevolenza palpabile. "So tutto di te, so cosa nascondi dentro di te."

Il suo sorriso si allarga in una smorfia di soddisfazione perversa. "Voglio vendetta, Daphne," dice con una voce carica di rabbia e disprezzo. Lissa mi fissa con occhi scintillanti di malevolenza. "Ho scoperto della tua gravidanza, Daphne," annuncia con un tono carico di minaccia. "È strano che nessun altro Olimpo lo sappia. Non hai chiesto aiuto a nessuno questa volta? Sbaglio o il figlio che porti in grembo è frutto di un'altra violenza?"

"Che cosa vuoi, Lissa?" le chiedo portando istintivamente una mano al grembo. "Vendetta, così come richiede Ares" afferma. "Portagli il figlio, ma purché non abbia emesso un solo respiro" le rispondo aprendo le mani, lasciando così il mio ventre esposto.

Lissa mi fissa con un misto di malizia e soddisfazione mentre accetto il suo terribile patto. La sua risata riecheggia nel silenzio della stanza, un suono graffiante e sinistro che mi fa rabbrividire fino alle ossa. "Così è fatto," mormora con un sorriso sprezzante, la sua voce carica di trionfo.

Lissa si avvicina lentamente, la sua mano tesa verso il mio ventre proteso. Con un gesto fluido e sprezzante, afferra il feto con una presa crudele. Un dolore acuto mi trafigge mentre il suo tocco profana il mio corpo, e sento il calore del sangue scorrere lungo le mie gambe. "Non importa quanto sangue verserai, Daphne," mormora Lissa con un ghigno di soddisfazione, stringendo il feto tra le mani. "La tua sofferenza sarà la mia ricompensa."

Le lacrime sfocano la mia vista mentre guardo impotente il mio bambino essere strappato via da me, sacrificato sull'altare delle vendette divine. Le porte della cella si spalancano con un suono cupo, e le suore irrompono nella stanza con espressioni di sgomento e preoccupazione.
"Oh, dolce madre," sussurra una suora anziana, avvicinandosi con passo felpato "Che cosa è accaduto qui?"

Le parole si perdono nella mia gola, soffocate dal dolore e dalla disperazione che mi avvolgono come un sudario. Non ho la forza di rispondere, il mio sguardo fissa il vuoto mentre il senso di colpa mi opprime come un macigno. Le suore si affrettano a soccorrermi, cercando di lenire il mio dolore con gesti gentili e parole di conforto. Lissa è sparita nel nulla, lasciando dietro di sé solo il ricordo della sua presenza sinistra.

Le suore si affannano intorno a me, curando le ferite sia fisiche che emotive che Lissa ha lasciato dietro di sé. I loro gesti gentili e le loro parole rassicuranti sono un balsamo per l'anima ferita, ma il mio cuore resta pesante di dolore e rimorso.

Nel frattempo, il signor Darcy viene informato dell'accaduto e si presenta al convento con un'espressione assorta sul volto. Il suo sguardo si posa su di me con una miscela di preoccupazione e delusione, e il silenzio pesante che cade tra di noi è carico di tensione. "Daphne," dice con voce sommessa, avvicinandosi al mio letto con passo incerto. "Sono qui per portarti a casa."

Il mio cuore si stringe nel sentire le sue parole, sapendo che il suo sguardo deluso è rivolto a me e al figlio che abbiamo perso. "Sì, mio signore," rispondo con voce fioca, cercando di nascondere la mia angoscia dietro una maschera di compostezza. Con movimenti lenti e cauti, mi alzo dal letto, sentendo il peso del dolore e della perdita che mi opprime. Il signor Darcy mi offre il suo braccio per sostenermi, e insieme lasciamo il convento.

Il viaggio verso casa è silenzioso, il peso della tragedia che ci separa è tangibile nell'aria, lasciano che il rumore degli zoccoli riecheggi con la pioggia. Arriviamo alla dimora, e il signor Darcy mi conduce nella nostra stanza con gesti gentili ma riservati. Il suo sguardo è cupo mentre mi osserva, e so che il suo cuore è afflitto dalla stessa tristezza che mi assale. "Mio signore," dico con voce tremante, cercando di trovare le parole per confortarlo. Ma lui mi interrompe con un cenno del capo, il suo sguardo scrutante ma privo di giudizio. "Riposati, Daphne," mi dice con voce sommessa. "Abbiamo molto di cui discutere, ma per ora, lascia che si prendano cura di te."

Mi distendo sul letto, sentendo la morbidezza delle lenzuola avvolgermi come una carezza. Il rumore della pioggia che batte contro le finestre è un sottofondo costante, un accompagnamento malinconico alla tristezza che avvolge la stanza. Il signor Darcy si muove con grazia silenziosa, come se temesse di spezzare l'atmosfera fragile che ci circonda.

Le sue parole risuonano nel silenzio, un richiamo alla calma e al riposo che sembrano sempre più distanti dal mio cuore affranto. Mi volto verso di lui, cercando nei suoi occhi una luce di conforto, ma trovo solo il riflesso della mia stessa angoscia.

"Ti ringrazio, mio signore," rispondo con voce flebile, accettando il suo invito al riposo con una rassegnazione silenziosa.

Il signor Darcy si allontana dalla stanza con passo misurato, lasciandomi sola con i miei pensieri tormentati. La stanza è avvolta nell'ombra, solo il debole chiarore della lampada a olio getta delle fugaci ombre sui muri.

Chiudo gli occhi, lasciando che il sonno mi avvolga come un manto, cercando invano di scacciare i demoni che mi tormentano anche nei sogni.

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