146. Madri

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Mia madre, la regina di Sparta, è seduta accanto al mio letto, con uno sguardo amorevole e una voce che risuona nella mia mente come una melodia familiare. "Mia dolce Daphne," inizia mia madre con tono morbido, "È ora di dormire" afferma invitandomi a posare la bambola. "Ma io non ho sonno" affermo. Mia madre sorride indulgente, comprendendo la mia vivace curiosità. "Allora lascia che ti racconti una storia," suggerisce, con un gesto accogliente che mi invita a restare sveglia ancora un po'. Mi accoccolo nel mio letto, gli occhi brillanti di aspettativa mentre mia madre inizia il racconto del guerriero Aiace e delle sue avventure leggendarie. "Si narra che Aiace fosse un guerriero valoroso, temuto in battaglia e rispettato dai suoi compagni. Ma nonostante la sua forza e il suo coraggio," dice mia madre con voce solenne, "Aiace non poteva sfuggire al destino crudele che gli era riservato. Dopo la guerra di Troia, quando Achille morì e Odisseo ottenne l'armatura di Achille al posto suo, il dolore e la vergogna furono troppo da sopportare per il fiero Aiace." racconta mia madre mentre continua a narrare, descrivendo la terribile notte in cui Aiace, impazzito dal dolore e dall'umiliazione, decise di vendicarsi. Mi stringo alla mia bambola di pezza, sentendo il freddo abbracciare il mio cuore mentre mia madre mi racconta della tragica fine di Aiace, il grande eroe che perse la sua mente e si tolse la vita. Con un soffio leggero, mia madre accarezza la mia fronte, scacciando via ogni preoccupazione e paura. "Ora, mia dolce Daphne," mi dice con voce calma e rassicurante, "è tempo di dormire e lasciar andare i pensieri nella notte." Mi avvolge con le sue braccia, mentre il sonno mi avvolge.

Mi ritrovo improvvisamente svegliata dal torpore del sonno, un senso di confusione mi avvolge mentre riapro gli occhi. Davanti a me, Deimos e Phobos si ergono come ombre oscure nella penombra della camera, le loro figure sinistre emanano un'aura di inquietudine. "Daphne, è ora di alzarsi," mormora Deimos con voce sommessa ma decisa. Le sue parole risuonano nell'aria come un sinistro presagio, e mi sforzo di raccogliere i miei pensieri nel mezzo della nebbia del sonno. Lentamente, mi siedo sul letto, cercando di distinguere la realtà dal sogno, mentre il ricordo del mio sogno con mia madre svanisce lentamente nella luce dell'alba. Mi alzo dal letto con un senso di debolezza che pervade ogni mio movimento. Deimos e Phobos restano impassibili mentre con gesti lenti e impacciati, indosso un abito di seta nera decorato con ricami d'oro.

Seguo silenziosamente i miei fratellastri attraverso i corridoi intricati della reggia, il mio passo incerto mentre cerco di adattarmi a questo nuovo ambiente. Le pareti sono decorate con trofei di guerra e simboli di potere, ricordi tangibili del regno di Ares. Riesco a malapena a trattenere un senso di smarrimento mentre mi sforzo di mantenere la mia compostezza di fronte alla stranezza di questa situazione. Dopo un breve tragitto, arriviamo in una sala ampia e sontuosa, dominata da un trono massiccio e imponente. Deimos e Phobos mi guidano con risolutezza verso il trono, dove Ares attende con uno sguardo severo. "Vieni qui, figlia di Afrodite," grida Ares, la sua voce riverbera contro le pareti di pietra. Deimos e Phobos mi spingono delicatamente verso di lui, e io avanzo con riluttanza, cercando di nascondere la mia incertezza di fronte al dio della guerra. "Perché mi hai portata qui, Ares?" chiedo con voce sicura. Ares si alza dal suo trono con una grazia feroce, avvicinandosi a me con passo deciso. "Perché sei la madre di mio figlio," dichiara con fermezza, "e non sono certo così crudele da volerlo separare da sua madre, ne tantomeno voglio tenerlo all'oscuro sul suo vero padre. Come pensi l'avrebbe cresciuto quel cristiano di tuo marito?".

"Mio marito, anche se cristiano, è un uomo di onore e virtù," ribatto con fierezza, cercando di difendere Thomas "Non permetterò che tu lo denigri o che metta in dubbio le sue capacità di essere un buon padre per nostro figlio." rispondo con arroganza. "La tua lealtà al tuo marito è commendabile, non hai dato lo stesso trattamento a tutti i tuoi mariti però," ammette Ares con una leggera inclinazione del capo, "ma non cambia il fatto che io sia il padre del tuo bambino, e che Aiace debba conoscere la sua vera eredità."

"Le mie scelte passate non cambiano il fatto che ora sia fedele al mio matrimonio e alla mia famiglia," ribatto con fermezza, cercando di difendere le mie azioni passate. "Non lascerò che tu o chiunque altro metta in dubbio il mio impegno nei confronti di mio marito e del nostro bambino."

Ares mi guarda con un misto di rispetto e disprezzo, le sue parole non scalfiscono la mia determinazione. "Puoi continuare a difendere il tuo marito, ma non puoi negare la verità del sangue," afferma con un tono tagliente, evidenziando la sua convinzione nei confronti della paternità di Aiace. Mentre la tensione tra me e Ares continua a crescere, la porta della sala si apre improvvisamente, rivelando la figura eterea e maestosa di Afrodite, mio madre. "Daphne, mia dolce figlia," mormora, avvicinandosi a me con passo leggero. "Che cosa fai qui, in questo luogo di guerra e violenza?"Mi volto verso di lei, "Madre," sussurro, le lacrime pronte a rigare le mie guance, "Sono qui perché Ares mi ha portato via con mio figlio."Il volto di Afrodite si contrae in un'espressione di dolore e ira contenuta. "Ares," sibila, il suo tono carico di disapprovazione e rimprovero "Come hai osato?"

Ares si irrigidisce di fronte alla reazione di Afrodite, la sua arroganza vacilla leggermente di fronte al rimprovero della sua amante divina. "Non ho fatto nulla di male," ribatte con un tono difensivo, ma l'ira di Afrodite non accenna a placarsi. Ares abbassa lo sguardo, un'ombra di vergogna oscura il suo volto. "Lo ammetto," confessa con voce pesante, "ho commesso un atto imperdonabile nei confronti di Daphne. Sono stato io a violentarla."

Le parole di Ares risuonano nella stanza, cariche di un'oscurità palpabile. Afrodite, colpita dalla rivelazione, sfodera tutta la sua furia divina. "Tu hai osato profanare mia figlia?" urla, il suo potere divino scuotendo le fondamenta della reggia di Ares. "Non c'è nulla da profanare in una puttana come tua figlia" risponde il dio. Il conflitto divino raggiunge il suo culmine mentre le parole infiammano gli animi degli dei. lCon un gesto determinato, libero le fiamme divampanti, lasciando che il fuoco si diffonda rapidamente, avvolgendo la reggia di Ares in un turbine ardente. La luce e il calore delle fiamme rispecchiano la mia stessa rabbia, un'esplosione di potenza divina che risuona nel cuore della reggia di Ares. "Io non sono una puttana" affermo con rabbia. Nel caos del fuoco, il mio cuore si spezza nell'angoscia mentre realizzo l'orrore di ciò che ho scatenato. "Aiace!" grido disperata, il mio grido soffocato dal ruggito delle fiamme. Continuo a lottare contro la furia delle fiamme, ma è troppo tardi. Il fuoco divora ogni cosa, avvolgendo la reggia di Ares in un abbraccio mortale. Nel cuore dell'incendio, il mio piccolo Aiace giace immobile, avvolto dalle fiamme che danzano con una crudele bellezza. Le sue piccole forme vengono avvolte dal fuoco, e il suo grido soffocato si perde nel fragore dell'incendio. Con un gemito di disperazione, mi lancio verso di lui, ma sono fermata da una barriera invisibile, la mia mano respinta dal calore divorante delle fiamme. Le lacrime scorrono lungo le mie guance mentre osservo impotente il mio dolce bambino perdersi nel turbine del fuoco, la sua vita spezzata prima ancora di poter sbocciare. Con passo deciso, Ares si avvicina a me attraverso il vortice di fiamme, il suo sguardo cupo penetrando nel mio animo dilaniato dal dolore. "Daphne," mormora con voce grave, il suo tono carico di una mescolanza di rimorso e autorità divina. Alzo lo sguardo verso di lui, i miei occhi velati dalle lacrime che offuscano la mia visione. "È colpa mia," sussurro con voce tremante, il peso dell'atroce tragedia schiacciandomi l'anima. Ares si china leggermente verso di me, le fiamme riflettendosi nei suoi occhi immortali. "La colpa è di entrambi," ammette, la sua voce un sussurro graffiante nel fragore dell'incendio. "Avrei dovuto essere più prudente, più misericordioso."

Le sue parole penetrano nel mio cuore, un eco di pentimento e rimorso che risuona nel vuoto della mia anima tormentata. "Non posso più tornare indietro," singhiozzo, il dolore avvolgendomi come un mantello di fuoco. Con un balzo fulmineo, Afrodite si avvicina a noi attraverso il turbine di fiamme, il suo volto etereo irradiante una luce divina. "Daphne," chiama con voce dolce e compassionevole, avvolgendomi con le sue braccia divine. La sua presenza risplende di un'energia rassicurante, come una madre che protegge il suo cucciolo ferito. "Mamma," sussurro, il mio cuore annegato nell'abisso del dolore e del rimorso. Afrodite mi stringe con amore materno, le sue parole un balsamo per la mia anima tormentata. "Figlia mia," mormora, la sua voce una melodia celestiale che risuona nel caos dell'incendio. "Ti aiuterò a guarire da questo dolore, ti porterò via da questo luogo di sofferenza e ti proteggerò con tutto il mio amore."

Mi aggrappo a lei con disperazione, il calore della sua presenza divina che mi avvolge come una carezza celeste. Insieme, madre e figlia, ci allontaniamo dalle fiamme divoratrici, lasciandoci alle spalle il caos e la distruzione della reggia di Ares.

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