26. Rovine

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ante diem V Nonas Aprilis 39d.C

Sbarco sulla riva della Grecia, il suolo che mi è familiare. Attraverso le strade polverose a groppa del cavallo, dirigendomi alla casa dove sono cresciuta. Ma l'immagine è cambiata, ormai avvolta dalle macerie e dai segni del tempo. Le risate gioiose di un tempo sono solo un eco lontano, e la casa che un tempo era viva di amore e calore ora giace in rovina.

Il vento sibila tra le rovine, portando con sé il ricordo di giorni passati. Il cortile, un tempo animato dalle risate di famiglia, ora è dominato da un silenzio irreparabile. I fiori che una volta adornavano il giardino sono appassiti.

Attraverso le stanze, trovo vecchi frammenti di ciò che era una volta la nostra casa. Ricordi incisi nei muri sgretolati, tracce di giochi nel pavimento usurato. La sala da pranzo, dove condividevamo pasti e racconti, è ora solo un'ombra della sua antica grandezza.

Questa casa, seppur distrutta, è ancora il luogo che chiamo casa. Tra le rovine, una luce dorata emerge, avvolgendo l'aria di una calda luminosità. Apollo appare con un sorriso gentile e gli occhi luminosi come stelle. "Figlia mia," pronuncia il dio, la sua voce sembra essere un canto sereno. "Le tue radici sono profonde come le antiche querce, e anche di fronte alla distruzione, la tua forza non si spegne."

"Padre," rispondo con un misto di gratitudine e tristezza. "Non voglio più tornare a matrimoni forzati e amori infelici, voglio solo essere me stessa".

Apollo, con un sorriso che risplende come il sole al crepuscolo, "Figlia mia, tra le rovine antiche, il tuo cuore rinasce e sfiora l'infinito. Non temere il passato, bensì abbraccia il futuro."

Mentre il suo radiante sorriso svanisce nell'etere, la luce della gemella risplende, sotto il manto stellato, la dea della caccia e della luna si avvicina con grazia, i suoi occhi riflettono la saggezza dell'eternità. "Daphne," pronuncia con voce che risuona come la melodia di una notte serena, "il tuo cammino è ancora lungo, devi tornare a Roma."

Monto a cavallo, guidata dalla luce argentea della luna, e cavalco con la sua guida verso le terre dell'Impero.

ante diem XIX Kalendas Maias 39d.C

Durante il viaggio attraverso foreste oscure e vaste pianure, seguo il ritmo cadenzato del mio destriero. Attraverso fiumi tumultuosi e campi d'erba alta, mentre il vento mi sussurra segreti antichi. La luce argentea della luna e la guida di Diana mi accompagnano nella notte, illuminando il cammino attraverso terre selvagge e sconosciute.

Incespicando attraverso il fitto della foresta, il mio destriero avanza con passo sicuro, ma improvvisamente, una pioggia di frecce sfreccia nell'aria. Il tumulto degli alberi e il fragore dei passi che mi circondano tradiscono la presenza di un gruppo di guerrieri. Senza preavviso, figure scure emergono dalle ombre. I i loro volti sono dipinti con colori vividi e le vesti adornate con simboli tribali.

Prima che io possa comprendere appieno la situazione, una rete si abbatte su di me, intrappolandomi. Le mani barbare mi afferrano, e nel caos, vengo sollevata dal cavallo e portata via .

Trascinata attraverso la foresta, mi trovo davanti a una radura circondata da totem tribali. I barbari mi conducono verso un uomo imponente. Il suo sguardo severo incrocia il mio mentre mi presentano con rispetto. "Siamo il popolo dei Quadi," annuncia con un tono che riecheggia nella radura. "Io sono Arminio, il re di questa tribù. Chi sei tu, straniera?"

Con voce ferma, rispondo: "Sono Daphne, una viandante. Sono diretta a Roma, ma il vostro popolo non sa tenere le mani a posto."

Arminio ride, un suono cupo che vibra nell'aria della foresta. "Roma è lontana, e qui sei sotto la protezione dei Quadi. Tuttavia, la tua bellezza non passa inosservata." Il suo sguardo brilla di un desiderio che mi fa rabbrividire. "Daphne, considera la possibilità di condividere la tua vita con un re."

"La mia vita è mia," ribatto, cercando di mascherare l'ansia crescente. "Non sono un oggetto da possedere. Non mi fermerò qui." Arminio, con una risata sarcastica, dichiara: "Vedremo quanto a lungo resisterai. Nel frattempo, resterai nella nostra tribù, come prigioniera o come nostra regina."

"Sono stata a lungo una regina e mi è bastato. Chiedo solo che mi consentiate il passaggio, verrete ricompensati equamente" affermo. So che essere regina spesso non è tanto diverso da essere una prigioniera. La risposta di Arminio è un ghigno di sfida, "Potatela via" ordina agli uomini che mi tenevano. Le mani crude degli uomini di Arminio mi afferrano con forza, privandomi della mia libertà.

Mi legano con spietata efficienza, avvolgendo corde grezze intorno ai polsi e alle caviglie. Il mio vestito pregiato viene strappato via senza pietà, lasciandomi con solo stracci che offrono appena copertura. L'oro che indossavo viene sfilato e accumulato come bottino, lasciandomi spoglia di ogni ricchezza.

Trascinata tra le capanne, le guardie mostrano un disinteresse totale per la mia dignità. Gli sguardi della tribù, curiosi e spietati, si posano su di me mentre attraverso la radura.

Quando gli uomini escono vedo che sono in compagnia di altre donne, anch'esse prigioniere di questa tribù selvaggia. Anche queste sono spoglie, denutrite e coi capelli lunghi intrecciati, contrariamente ai miei ancora liberi.

"Chi sei tu, straniera?" chiede una delle prigioniere con occhi stanchi. "Sono Daphne,," rispondo con voce ferma. "Sono qui come voi, prigioniera di questa tribù."

Le prigioniere mi scrutano con occhi che raccontano storie di sofferenza e resistenza. La donna che mi ha interrogato con uno sguardo malinconico sussurra: "Siamo qui da anni, perdute in questa terra senza speranza." Alcune di loro sono state catturate in battaglia, altre sono prigioniere di guerra.

Il silenzio pesante della notte è interrotto solo dal lamento lontano della foresta e dalle fiamme danzanti al centro del villaggio Quadi. Vedo che le altre si addormentano, ma io non riesco. Volgo il mio sguardo al cielo senza poter veder le stelle. "Aiutatemi" sussurro sperando che gli dei mi ascoltino.

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