117. Naufragaggio

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Le nostre sette figlie, Aquata, Andrina, Arista, Attina, Adella, Alana e Ariel, sono il fiore all'occhiello del nostro regno sottomarino. Ognuna di loro porta con sé una bellezza unica e un carattere speciale, simboleggiando la diversità e la ricchezza dell'oceano.

Aquata, la primogenita, è il simbolo del Mar dei Coralli, con i suoi colori vivaci e la sua vitalità incontenibile. Andrina, dal Mare dei Caraibi, porta con sé l'energia e la gioia contagiosa delle acque tropicali, mentre Arista, del Mar Bianco, incanta con la sua grazia e il suo fascino senza tempo.

Attina, del Mare di Bering, è una figura regale e maestosa, con un'intelligenza acuta e una saggezza oltre i suoi anni. Adella, del Mar Mediterraneo, è una creatura vivace e avventurosa, sempre pronta a esplorare nuove terre e nuovi orizzonti.

Alana, del Mar Nero, è la custode della profondità e del mistero delle acque oscure, mentre Ariel, del Mar Rosso, porta con sé il fuoco della passione e il desiderio di scoprire il mondo al di là delle onde.

Ogni figlia, con il suo mare assegnato, porta avanti il nostro legame con l'oceano e contribuisce alla bellezza e all'armonia del nostro regno sottomarino. Sono la nostra gioia e il nostro orgoglio, e faremo tutto il possibile per garantire loro un futuro luminoso e prospero.

Una mattina, mentre il sole sorgeva all'orizzonte, le nostre sette figlie si riunirono su una scogliera di corallo, circondata dalle acque blu cristalline del nostro regno. Le risate e i sorrisi risuonavano nell'aria, mescolandosi con il suono delle onde che si infrangevano sulla scogliera. In quel momento, eravamo una famiglia, uniti dalla gioia e dall'amore che solo il mare poteva ispirare. E nel cuore del padre, c'era la gratitudine per la fortuna di avere sette figlie così meravigliose e speciali.

Tritone, con lo sguardo fisso all'orizzonte, riconosceva la minaccia imminente prima che qualsiasi altra delle sue figlie si accorgesse della nave che si avvicinava. "Rapidi, immergetevi!" gridò con voce potente, il suo tono urgente tagliava l'aria come un coltello affilato.

Le sirene si tuffarono nell'acqua, il loro canto si trasformò in un sottofondo melodico mentre scomparivano nelle profondità del mare. Ma io afferrai di corsa il giocattolo che una delle mie figlie aveva lasciato sulla scogliera, determinata a non lasciarlo indietro.

Mentre mi stavo voltando per unirmi alle altre, sentii un forte sibilo nell'aria seguito da un dolore acuto alla testa. La mia vista si annebbiò e il mondo svanì nel buio mentre le mani umane mi afferravano e mi trascinavano via dalla mia casa sottomarina.

15 giugno 1350 d.C

Con un brusco risveglio, il suono delle onde che si infrangono dolcemente sulla spiaggia mi accoglie. La sabbia calda sotto di me, appiccicata alla pelle umida, mi fa sentire esausta. Il sole del primo mattino batte implacabile, e mentre i raggi si riflettono sul mare, mi rendo conto della mia vulnerabilità. Mi accorgo improvvisamente di essere completamente nuda, senza alcun indumento che mi protegga dalla vista degli altri sulla spiaggia deserta. La mia confusione e la mia vulnerabilità aumentano, mentre cerco freneticamente di coprirmi con le braccia, sperando che nessuno mi veda in questa condizione così imbarazzante.

"Chi sei tu? Cosa fai qui?" chiede una voce maschile, rompendo il silenzio. Mi volto di scatto, scoprendo un uomo dallo sguardo scrutatore. Senza aver avuto il tempo di rispondere, il suo sguardo cade su di me, notando la mia nudità. La vergogna mi avvolge mentre mi rendo conto della mia vulnerabilità. La sua presenza imponente mi intimorisce ulteriormente, e mentre cerco freneticamente di trovare le parole, il mio respiro diventa affannoso. "Io... io..." balbetto, cercando disperatamente di trovare un'adeguata spiegazione. Il mio sguardo abbassato non osa incontrare il suo, mentre la mia mente cerca di elaborare una risposta che non lo sospetti della mia vera identità. "Sono... sono... persa," riesco a dire alla fine, le parole uscendo a stento dalle mie labbra. La mia voce trema leggermente, tradendo la mia ansia e sperando che quelle parole siano sufficienti a evitare ulteriori domande imbarazzanti. La sua espressione rimane impenetrabile, ma per un istante sembra che la comprensione si accenda nei suoi occhi, prima che tornino ad analizzarmi con cautela.

L'uomo sembra inizialmente sospettoso, ma poi il suo sguardo cade sulla mia figura senza vestiti. "Dov'è il tuo abbigliamento?" domanda con voce severa. Mi guardo intorno, cercando freneticamente qualcosa che possa coprire il mio corpo esposto. "Non lo so, sono stata... rapita..." balbetto, sentendomi a disagio sotto il suo sguardo scrutatore. Le sue sopracciglia si aggrottano leggermente, ma sembra accettare la mia risposta. "Vieni con me," ordina bruscamente, indicandomi di seguirlo verso la nave che si staglia imponente sull'orizzonte. Con il cuore pesante e il corpo tremante, mi avvio al suo fianco, incerta del mio destino ma consapevole di non avere altra scelta se non quella di seguirlo. La sabbia calda sotto i miei piedi nudi contrasta con la tensione che sento nel mio corpo mentre mi allontano dalla spiaggia e mi avvicino alla nave, pronta ad affrontare ciò che mi attende.

Camminiamo in silenzio lungo la spiaggia, il suono delle onde che si infrangono sulle rocce accompagna i nostri passi incerti. L'uomo sembra concentrato sul suo obiettivo, senza volgere lo sguardo verso di me. La mia mente è piena di domande senza risposta, ma il suo atteggiamento risoluto mi impedisce di chiederle.

Arriviamo alla nave, una imponente imbarcazione che si erge maestosa sul mare. I suoi alberi si stagliano fieri contro il cielo, mentre le vele gonfie di vento promettono un viaggio avventuroso. Il suono dei marinai che lavorano e il fruscio delle onde contro lo scafo riempiono l'aria, creando un'atmosfera carica di eccitazione e mistero. L'uomo si avvicina al ponte, indicandomi di seguirlo con un gesto imperioso.

L'uomo si volta verso di me, fissandomi con uno sguardo penetrante. "Vestiti," ordina semplicemente, indicando una cabina vicina. Senza esitare, entro nella cabina e cerco qualche indumento che possa coprirmi. Trovo un abito semplice e me lo infilo rapidamente addosso, sentendomi un po' più a mio agio. Il tessuto morbido contro la pelle mi conferisce un senso di protezione, anche se la mia mente è ancora in tumulto per tutto ciò che è accaduto.

Una volta vestita, esco dalla cabina e mi ritrovo di nuovo di fronte all'uomo. "Chi sei tu?" chiedo con voce incerta, cercando di affrontare la situazione con determinazione. L'uomo mi osserva per un istante prima di rispondere. "Sono il capitano di questa nave. Mi chiamo Antonio," dice con calma "E tu?"

"Daphne" rispondo pronunciando il nome che ormai era da tanto che non sentivo. "Daphne," ripete Antonio con un lieve sorriso, come se il nome gli fosse familiare. "Un bel nome." Poi la sua espressione si fa seria di nuovo. "Come sei finita qui, Daphne? Cosa ricordi?" chiede, la sua voce ora piena di premura.

Mi sforzo di ricordare, ma nella mia mente c'è solo un vuoto. "Non ricordo nulla," dico con sincerità, sentendomi frustrata dalla mia mancanza di memoria. "Sono appena sveglia sulla spiaggia, senza sapere come ci sono arrivata."

Antonio annuisce comprensivo. "Capisco," dice, porgendomi una mano rassicurante. "Forse con il tempo le tue memorie torneranno." Poi si interrompe, fissando l'orizzonte come se cercasse una risposta là fuori.

Mi sento persa e vulnerabile, ma la presenza di Antonio mi dà un senso di conforto. "Grazie," dico sinceramente, stringendo la sua mano. "Grazie per avermi trovata e per prenderti cura di me."

Lui mi sorride gentilmente. "È il mio dovere come capitano," risponde con modestia. "Ora, Daphne, se vuoi, posso mostrarti la nave e farti conoscere l'equipaggio. Potresti trovarti a casa qui."

Accetto con un cenno del capo, grata per la sua gentilezza. Antonio mi conduce lungo il ponte, mostrandomi i vari ambienti della nave. Mi presenta ai membri dell'equipaggio, ognuno con il suo compito ben definito.

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