106. Matilde di Canossa

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16 novembre 1106 d.C

Il mondo esterno mi appare distorto, la luce accecante e i suoni ovattati. La libertà è un concetto astratto, poiché le catene della mia esperienza inquisitoria continuano a stringere la mia anima. Cammino tra le vie cittadine come uno spettro, incerto del mio destino.

Nel caos delle strade, sento il bisbiglio della gente, i loro sguardi scrutatori. La mia pelle è segnata dalle torture, il mio sguardo riflette l'oscurità che ho vissuto. Mentre avanzo, so che la mia vita è ora un enigma, un mistero di cui molti hanno sentito parlare ma pochi conoscono davvero.

Mi rifugio nell'ombra, evitando gli sguardi indiscreti e cercando un luogo dove la mia storia non sia già scritta. Ogni passo è una lotta, una fuga costante da un passato che continua a gettare la sua ombra. Il mondo là fuori è vasto e imprevedibile, ma il mio cuore è ancorato dalla paura e dal silenzio.

La notte mi avvolge nella sua oscurità, e la mia mente è una tempesta di pensieri tumultuosi. Le stelle sul cielo notturno sembrano freddamente indifferenti al mio destino. In un momento di disperazione, guardo il firmamento come se cercassi risposte. Ma le stelle tacciono, e il mio cammino è solo all'inizio.

Decido di allontanarmi da quella città, cercando una nuova via in terre lontane. La strada diventa la mia compagna, e mentre attraverso foreste oscure e pianure sconfinate, cerco la redenzione che sfugge ancora al mio destino. La mia mente è una mappa di cicatrici, ma la speranza continua a bruciare, una fiamma tenace in mezzo alle tenebre.

Attraverso il fitto bosco, emergo in una radura illuminata dalla luce argentea della luna. In lontananza, intravedo la figura di una donna, vestita con eleganza. Il suo sguardo è penetrante, come se scrutasse nell'animo di chiunque si avvicini. La donna si avvicina con passo regale, i suoi capelli corvini cadono morbidi sulle spalle, e gli occhi riflettono un misto di saggezza e comprensione. "Straniera, ti sei smarrita in queste terre?" chiede la donna con un tono calmo e avvolgente. "Mi chiamo Daphne," rispondo con rispetto, "Benvenuta, Daphne. Io sono Matilde di Canossa, e queste terre possono offrirti rifugio e consolazione," pronuncia con autorità e gentilezza. Matilde mi introduce nella sua corte con l'eleganza di chi governa non solo con il potere, ma anche con il cuore. La corte è un affresco vivente di cultura e raffinatezza, con musicisti che allietano l'aria e artisti che dipingono la storia sui muri. "Matilde, vi sono grata per la vostra generosità," esprimo con sincerità, mentre mi immergo nella confortante atmosfera della corte. "Avrai una camera tutta per te, e vesti pulite saranno a tua disposizione," mi risponde Matilde con un sorriso compassionevole.

Mentre percorriamo i corridoi silenziosi, osservo le opere d'arte che adornano le pareti, raccontando storie di epoche passate. La camera che mi viene offerta è decorata con gusto, con un letto accogliente che promette notti serene. Matilde, con un gesto elegante, indica un vassoio con del cibo. "Mangia, Daphne. Sarà un piacere avere una nuova voce nella nostra corte."

La gratitudine mi avvolge mentre assaporo il cibo, consapevole che questo luogo può rappresentare una nuova tappa nella mia ricerca di redenzione e pace. Mi concedo un momento di riflessione mentre ammiro la grazia di Matilde, la sua corte e l'ospitalità offertami. Accetto il vassoio col cibo con gratitudine, sentendo il profumo invitante dei piatti preparati con cura.

Dopo essermi ripulita, indosso i vestiti nuovi che Matilde ha messo a mia disposizione. Sono abiti eleganti e confortevoli, con delicati ricami che ricordano l'arte di un tempo passato. La stoffa morbida accarezza la pelle, e mi guardo nello specchio con occhi che riflettono un misto di sorpresa e riconoscenza.

"Grazie Ecate," sussurro in un momento di solitudine nella mia nuova stanza, sentendo che, forse, gli dei mi stanno guidando verso una nuova via. Tra gli abiti eleganti e la quiete della stanza, un senso di riconoscenza si mescola a un pizzico di timore nel mio cuore. Poi, lo sguardo inciampa in un crocifisso appeso al muro, e l'atmosfera si carica di tensione. Ricordi di giorni oscuri mi assalgono, e il simbolo della croce riporta alla mente il peso della Chiesa e delle sue ingiustizie. Un brivido mi percorre la schiena, ma cerco di respingere quei pensieri, concentrandomi sulla possibilità di una nuova vita che si offre davanti a me.

25 febbraio 1107 d.C

Dopo mesi di relativa pace a corte, la verità del mio passato oscuro emerge, gettando ombre sulla mia permanenza. Matilde, con occhi penetranti, mi affronta con la verità che ha scoperto. "Daphne, non hai detto tutta la verità sulle tue origini. Come posso fidarmi di te?" mi dice con voce calma, ma il tono tradisce una delusione profonda. "Cara Matilde, ho temuto che il mio passato potesse frapporsi tra noi. Ma tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per sopravvivere," rispondo con un filo di voce, cercando di spiegare le scelte che mi hanno condotta fin lì. Tuttavia, la disillusione negli occhi di Matilde è palpabile. "Devo pensare al bene del regno, e la tua presenza qui ora è una minaccia. Devi andartene," dichiara Matilde con un tono inesorabile.

Con un cuore pesante, raccoglio le poche cose che ho e lascio la corte che per un breve momento aveva significato speranza. Mentre le porte si chiudono dietro di me, sento la fredda brezza della notte portare via con sé l'ultima traccia di rifugio.

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