74. I franchi e il loro re

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7 luglio 846 d.C

Mentre le giornate di prigionia si trascinano, un giorno le sbarre della mia cella si aprono con un suono sinistro."Alzati, prigioniera," intima un soldato, il suo volto scuro quasi privo di emozioni.

Con il cuore che batte forte, mi trovo di fronte a un gruppo di guardie che mi scortano attraverso i corridoi umidi della prigione. Mi ritrovo in una sala, illuminata da torce e ornata con simboli di potere. Al centro, su un trono imponente, siede Carlo il Calvo, figlio del mio amico Carlo Magno, colui che mi aiutò quando arrivai nelle terre galliche. "Daphne," pronuncia il mio nome con una voce che trasuda autorità, e il mio cuore si ferma per un istante "Vedo che non sei invecchiata" afferma lui con autorità. "Non aspettavo un incontro del genere," rispondo con un misto di sorpresa e rassegnazione. Le guardie mi spingono più vicino al trono, e le torce creano un gioco d'ombre che danzano sulle pareti, aggiungendo un'aura di mistero alla scena. "Non sei neppure venuta al funerale di mio padre, colui che ti ha accolta senza sapere di te" mi rinfaccia come se fossi colpevole. "Ero ricercata in tutti i territori franchi, cosa avrei dovuto fare? Venire a palazzo? Non ci sarebbe voluto molto a farmi uccidere in un rogo, o affogata in mare. Ho provato sofferenza quand'è giunta la notizia e non stare accanto a voi o ai vostri fratelli mi ha fatto star male"

Carlo il Calvo fissa il suo sguardo su di me, e nel suo volto si legge una miscela di rigore e nostalgia. "Le tue parole possono celare molti segreti, Daphne, ma ciò che è certo è che le tue azioni hanno un peso. Il tuo allontanamento da noi è stato un tradimento, a dispetto di qualsiasi scusa tu possa addurre."

Con un sospiro, cerco di spiegare: "Essere pagana in una terra cristiana è stato un peso che ho portato con me, un fardello che mi ha costretta a scelte difficili. Tra i musulmani almeno ero accetta per quello che sono."

Carlo il Calvo annuisce, ma la durezza nei suoi occhi non si attenua. "Le tue ragioni possono essere comprese, ma il prezzo del tuo silenzio e della tua assenza è alto. Ora, tuttavia, le circostanze ci riportano insieme."

Le guardie si apprestano a portarmi via, ma Carlo il Calvo alza la mano, impartendo un ordine silenzioso. "Abbiamo ancora molto da discutere."

Siedo su un rigido seggio, costretta a confrontarmi con il passato che ritorna a bussare alla mia porta. Carlo il Calvo, figlio del mio amico e protettore, si erge come giudice e custode del mio destino. "Ti sei allontanata da noi in momenti cruciali," continua, il suo sguardo cerca risposte nelle pieghe del mio volto. "Non ho mai desiderato portare sofferenza a voi o alla vostra famiglia."

"La tua assenza ci ha causato dolore e incertezza. È giunto il momento di affrontare le conseguenze delle tue azioni." afferma Carlo. Le guardie rimangono in posizione, pronte a obbedire agli ordini "Parlami delle tue conoscenze, Daphne. Potresti essere la chiave per comprendere gli intrighi che si intrecciano in questa terra," afferma Carlo il Calvo, il tono della sua voce rivelando un misto di curiosità e determinazione.

"Le mie conoscenze sono morte. Ho avuto un marito e dei figli che mi hanno lasciata per la febbre. Mi ero rifugiata per stare lontana da ciò che mi portava sofferenza" rispondo, cercando di far emergere un barlume di cooperazione. "Comprendo che la tua vita sia stata una serie di compromessi e di lotte, Daphne. Tuttavia, non possiamo ignorare il passato. Sarai perdonata, ma la tua libertà sarà soggetta a una sorveglianza costante."

Mentre le catene vengono allentate, sento il peso dell'accettazione e dell'incertezza. "Grazie, Sire. Accetterò ogni condizione che porrete sulla mia libertà," rispondo con una solennità che riflette la consapevolezza delle catene invisibili che continueranno a legarmi. Carlo il Calvo annuisce, il suo sguardo ora meno severo. "Ogni tua mossa sarà osservata."

Con un cenno delle guardie, mi viene permesso di lasciare la sala del trono, ma la libertà ritrovata è accompagnata dall'ombra della sorveglianza costante. Mentre le porte si chiudono dietro di me, so che il mio ritorno è un equilibrio delicato tra la grazia concessa e la restrizione imposta.

Mi ritrovo in una stanza assegnatami per la mia permanenza sotto sorveglianza. Le pareti di pietra scura sembrano chiudersi su di me, trasmettendo una sensazione di claustrofobia. La finestra, stretta e protetta da sbarre di ferro, offre solo uno sguardo limitato sulla città che ora devo chiamare casa. "Mia Signora, siete qui ora sotto il nostro sguardo attento. Le vostre azioni saranno scrutinate," avverte uno dei guardiani, il suo tono formale come un eco del passato. "Non cercate di evadere, o le conseguenze saranno gravi."

La stanza è spoglia e fredda. Un letto angusto, fatto di legno scolpito, occupa un lato, mentre una scrivania rustica si trova dall'altro, illuminata da una lampada a olio che spande un bagliore tenue sull'ambiente. Sulla scrivania, una pila di pergamene e documenti attende la mia attenzione. "Avrete bisogno di studiare attentamente tutto ciò che vi verrà assegnato. La vostra cooperazione sarà essenziale per garantire la sicurezza della nostra terra," dice un altro custode, porgendomi uno sguardo scrutatore.

Con un sospiro, mi avvicino alla scrivania e inizio a sfogliare i documenti. Le parole mi appaiono come segni astratti, ma comprendo il peso delle mie responsabilità. La mia mente si interseca tra il passato e il presente, tra le alleanze e le restrizioni, mentre cerco di adattarmi a questo equilibrio precario.

La notte cade, e la stanza si avvolge nell'oscurità. La mia libertà può essere stata ritrovata, ma ora è un concetto sfuggente, ancorata a un filo sottile che si intreccia con il destino delle terre che un tempo chiamai casa.

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