Ante diem VIII Kalendas Aprilis 455 d.C.
Il palazzo imperiale a Mediolanum risuonava di echi silenziosi, un eco del vuoto lasciato dalla morte di Valentiniano III. Il destino dell'Impero romano d'Occidente pendeva su un filo sottile, e l'instabilità politica avvolgeva la mia vita immortale.
"Madre," sussurrò Livia, la sua voce traboccante di timore, "Mio fratello è morto, e girano voci che Massimo ha preso il controllo. Dobbiamo recarci a Roma" afferma. Il mio sguardo si posò su di lei, e nel silenzio che seguì, ho annusato l'aria carica di incertezza.
Il viaggio verso Roma fu un susseguirsi di paesaggi mutevoli e cieli carichi di presagi. A ogni passo, il mio cuore immortale vibrava in sintonia con la storia che si snodava di fronte a me.
Ante diem V Kalendas Aprilis 455 d.C.
Arrivate alla capitale eterna ci accolsero a palazzo. Massimo, un generale romano, ora deteneva il potere. "Daphne," pronunciò il nome con rispetto, ma nel suo sguardo c'era un'apprensione palpabile. "Dovremmo affrontare la realtà e cercare di stabilizzare l'Impero."
"Stabilizzare?" replicai, il tono freddo come il marmo. "L'Impero è immerso nell'abisso dell'instabilità, e il potere cambia mani come le stagioni. Mio figlio è stato assassinato"
Massimo annuì con gravità. "Comprendo il vostro dolore, Daphne. Ma dobbiamo procedere con saggezza per evitare che l'Impero si sgretoli."
In quei giorni, Roma era un caleidoscopio di volti, voci e intrighi. Mentre vagavo tra le rovine e i monumenti, sentivo l'eco dei secoli passati, le risate e i lamenti dei romani che avevano plasmato l'Impero con il sudore e il sangue. Mentre Massimo cercava di consolidare il potere, io e Livia lavoravamo nell'ombra, tessendo alleanze e cercando di guarire le ferite dell'Impero.
ante diem V Nonas Maias 455 d.C
La notizia della morte di Massimo e l'ascesa di Avito a imperatore raggiunse Roma come un tuono nei giorni successivi. Mentre camminavo tra le colonne del Pantheon, sentii il peso della nuova realtà.
Livia si avvicinò, leggendo la preoccupazione nei miei occhi. "Madre, il potere è ancora una volta nelle mani di un altro. Come affronteremo questa sfida?"
Respirai profondamente, cercando di dissipare la tensione. "L'Impero è un fiume in costante flusso, Livia. Le sue acque possono portare prosperità o tempesta. Dobbiamo navigare con saggezza attraverso le correnti."
A Roma, le strade erano piene di sussurri e mormorii. Nel Senato, i politici discutevano le nuove dinamiche di potere. Avito, l'imperatore delle truppe galliche, avrebbe portato una nuova era o un'altra fase di incertezza.
In una notte stellata, Livia e io ci ritrovammo sulle rive del Tevere. "Madre," disse Livia, fissando le stelle, "il destino di Roma è come un gioco di dadi nelle mani di Dio, forse dovremmo fermarci, smettere di cercare potere e iniziare a fare del bene."
"La vita è come lo scorrere di un fiume, il Fato lo guida e nessuno può interferire," risposi con un tono sereno, consapevole delle diverse prospettive che le nostre credenze portavano.
Livia abbassò gli occhi, il chiarore delle stelle riflessi nei suoi occhi. "Madre, ho imparato dall'insegnamento di Cristo che il bene è un'azione concreta, non solo un discorso di dèi e destino."
"Se tanto credi in questo dio cristiano vai da tuo zio, a Costantinopoli, dove potrai vivere secondo i suoi insegnamenti" suggerii con calma, cercando di conciliare le divergenze.
La sua espressione si indurì. "Non capisci, madre. Non si tratta solo di credenze, ma di praticare la compassione e l'amore, valori che vanno al di là degli dèi romani."
"La tua pietà cristiana ha annebbiato il tuo giudizio, Livia," replicai con fermezza. "La nostra Roma ha prosperato per secoli seguendo le vie degli dèi, non lasciarci guidare da una fede straniera."
Livia, con gli occhi ancora pieni di disappunto, si allontanò lentamente lungo le rive del Tevere. La sua figura si mescolava con l'oscurità della notte, e le stelle silenti sembravano essere gli unici testimoni della frattura che si stava aprendo tra madre e figlia. Un silenzio pesante persisteva, come un velo che separava le nostre anime.
Rimanendo sola con i miei pensieri, osservai il fiume che scorreva con la stessa inesorabile determinazione che aveva plasmato l'Impero romano.
Mentre il mio sguardo era perso nei riflessi argentei del Tevere, una figura imponente emerse dalle acque, circondata da un'aura di potere marino. Era Nettuno, il possente dio del mare, con il suo tridente scintillante alla luce delle stelle.
"Figlia di Venere e Apollo," dichiarò Nettuno con voce possente, "i destini intrecciati degli dèi e degli uomini pesano su di te. Roma è ancora in bilico, e il futuro attende la tua guida."
"Nettuno," risposi con rispetto, "ma quale guida posso offrire in un mondo che sembra farsi sempre più intricato?"
Il dio del mare, con occhi profondi come gli abissi, fissò il mio sguardo. "Il destino è plasmato dalle scelte, e il coraggio risiede nell'affrontare l'ignoto con cuore saldo. Trova l'equilibrio tra il divino e l'umano, e la tua strada si schiarirà."
Con un gesto maestoso del tridente, Nettuno si tuffò di nuovo nelle acque del Tevere, lasciando dietro di sé solo il suono lontano delle onde. Ero rimasta con il peso delle sue parole, consapevole che il cammino avanti sarebbe stato segnato dalle scelte che avrei fatto.
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La storia infinita
FanficDaphne, figlia di Apollo e Afrodite, sarà costretta a vagare nelle epoche, fino a trovare il suo posto in società (se avete letto "Amore Proibito" questa storia parla della stessa Daphne)