Capitolo 7. Di padre in figlio.

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Los Angeles

Brandon era nel centro direzionale del Chronical, quello che da ragazzo aveva sempre sognato e che aveva declinato ogni sua proposta di schiavitù incondizionata a poco prezzo. Ora sedeva sulla sedia del direttore, nell'ufficio del direttore, con le piante del direttore e una veduta fantastica su Los Angeles. Incredibile come cambia la vita delle persone. Come determinate coincidenze ti facciano svoltare per una strada o per un'altra. Cosa sarebbe successo se il Chronical di Los Angeles avesse accettato la sua candidatura cinque anni prima? Dove sarebbe lui adesso? È pentito di essersene andato? No. Non lo era. Uno con i suoi sogni non può pentirsi. Deve avere una resistenza all'altezza delle sue aspettative. Guardò al di fuori della porta vetrata il grande open space dove giornalisti, redattori, revisori, impaginavano e sceglievano accuratamente le parole. Come erano lontani i tempi del Beat. Quando solo lui e Steve gestivano un piccolo giornale e gli  sembrava di essere incastrato in una gabbia dorata. Rinunciare alla sua "famiglia" e andare ad inseguire i suoi sogni. Ecco la scelta più difficile che avesse mai dovuto fare. Un rischio fra capo e collo. Cinque anni in giro a raccontare la guerra, la cronaca delle nazioni, ad imparare lo spagnolo e l'italiano.
La sua segretaria Betty era una donna sulla cinquantina piuttosto simpatica e molto pratica. Entrò portandogli il caffè e sotto  braccio il raccoglitore per i documenti da firmare.  Brandon piazzò un paio di firme leggendo velocemente.
" Alle 13 verrà il signor Johnson, ha confermato l'appuntamento direttore Walsh."
Direttore Walsh. Wow.
"Ha bisogno di altro?"
"No, grazie Betty"
"Per il pranzo?"
"Ci penso io Betty, non ti preoccupare" le disse restituendole i fogli firmati.
Aveva ancora un paio di articoli di costume da revisionare.
Il suo cellulare squillò.
KEL.
Erano secoli che quel nome non appariva sul display.
"Donna sta partorendo, David è in iperventilazione, Steve è agitato, io respiro a tempo, vuoi venire pure tu?"
Brandon rise sonoramente "sono già per strada".
Cliccò sul pulsante di termine chiamata. Come gli era mancata questa parte. Essere qualcosa di integrante. Parte di un universo stretto da forti legami. Prese la giacca e sibilò a Betty che si assentava per qualche ora. Aveva il cellulare e avrebbe controllato le mail da fuori.
"Si ricordi l'appuntamento con Johnson alle 13"
"Si" disse lui scivolando via "torno subito, ho il cellulare, qualsiasi cosa chiamami Betty".
Prese l'ascensore.
"Direttore!"
Un giovane ragazzo lo stava inseguendo.  Lui si fermò.
"Direttore sono Brian Ward"
Brandon gli strinse la mano camminando.
"Mi sono appena laureato alla CU"
"Ah bravo" gli rispose Brandon "che posso fare per te?"
"Volevo dirle che sono disposto a lavorare gratis nel caso volesse prendere in considerazione la mia candidatura"
Brandon prese le chiavi dalla tasca e aprì la macchina
"Lasci il curriculum in sede" gli rispose velocemente lasciandolo in piedi sul marciapiede.
Brandon salì in macchina. E sospirò come quando sospirava sempre per essersi pentito di qualcosa. Abbassò il finestrino.
"Dia a me" disse.
Brian Ward sorrise e fece scivolare il suo CV nelle mani di Brandon.
Quando arrivò in ospedale c'erano tutti.
"Come andiamo?" chiese baciando Kelly sulla guancia per salutarla.
"Siamo in pieno travaglio" Kelly buttò un'occhiata veloce verso David "lui non si regge, Felice è dentro, Steve è andato a prendere il caffè".
Ethan Silver nacque venti minuti più tardi. Per un peso di 4 chili e 200 grammi. Per la gioia di Felice che finalmente aveva un nipote.
Per quella di Silver che era svenuto due volte.
Tutti guardavano il piccolo arrivato dalla vetrata. Era senza somiglianze ancora ma Felice era convinta di vederci il Doc Martin.
"La vita è così" gli disse Kelly avvicinandosi a Brandon "ti esplode davanti".
"Già" disse lui "è una cosa molto bella. Bellissima" la guardò "mi dispiace non essere stato qui quando è nato tuo figlio ma io.."
Non finì la frase. Non ce ne era bisogno.
"Lo so" disse lei "lo so".
Kelly ne scrutava il profilo e gli venne in mente quel bambino perduto anni prima, ormai avrebbe otto anni. Chissà se Brandon ci pensava mai perché lei non aveva mai smesso di pensare a quella vita, anche e soprattutto dopo la nascita di Sammy. Aveva sempre cercato di scorgere in suo figlio lineamenti comuni a lei che avrebbe potuto essere anche sul volto di quel bambino perduto.
Le venne in mente la frase di Brandon abbracciata a lui quando pensava di prendere la decisione più difficile "ma uno sarà sempre perduto".
Uno sarà sempre perduto, Brandon. Avevi ragione. Lo pensò ma non lo disse.
Il telefono di Brandon squillò e questo distolse l'attenzione di Kelly.
BRENDA
"Ti stavo per chiamare"
"Lo dici sempre e non lo fai mai"
Brandon rise e mimó con la bocca il nome di Brenda a Kelly per farle capire chi fosse "è nato il bambino di Donna e David sono qui in ospedale con gli altri.. certo che glielo dico che la chiami dopo.. si Kelly e qui.." lei fece cenno di salutare "ti saluta.." poi Brandon si fece più serio e si allontanò leggermente. Kelly fece finta di essere impegnata con un paio di messaggi e lo osservava, senti solo un "abbi cura di te" e basta.
Brandon tornó da lei "tutto bene?"
Si rispose lui. Tutto bene.
"Io vado a casa" gli disse lei "riprendo Sammy con Erin... eh.... Poi magari ritorno qui.. "
Brandon fece un cenno con la testa e guardò di fretta l'orologio "devo andare anche io. Ho un impegno di lavoro.."
Sicuro di stare bene?
"Si"
"Senti, vuoi venire a cena stasera? Preparo qualcosa al volo. Vorrei che conoscessi Sammy se ti va"
Brandon sorrise in un modo serrato "certo" le rispose "mi farebbe piacere".
"Allora alle 20? Ti mando un messaggio con l'indirizzo?"
Si salutarono cosi come si erano salutati all'inizio.
Brandon la guardava preoccupato mentre lei si allontanava.
Dylan era con Brenda. 

Londra.
Brenda riattaccò il telefono e guardò Dylan seduto al tavolo della cucina. Un po' in penombra. Non credeva di rivedere questa scena.
"Hai chiamato Kel?"
"Le ho lasciato un messaggio in segreteria. Non è a casa."
"È in ospedale. Donna ha partorito e comunque Kelly ha un cellulare. Vuoi il numero?."
"Oh."
Brenda senti il fischio del te e tiró giù due tazze. Aveva capito che Dylan era lì perché aveva voglia di rivederla ma aveva anche capito che era scappato da ciò che aveva a Los Angeles. E soprattutto da Sammy. E questo non era giusto.
Avrebbe voluto chiedergli quanto sarebbe rimasto ma temeva anche la risposta.
"E tuo figlio?"
"Faccio schifo come padre, lo so"
"Ah lo sai"
Lui le inchiodò gli occhi addosso. "Non sono venuto per farmi giudicare"
"Non ti ho mai giudicato e tu questo lo sai" gli ribattè Brenda di risposta "ma a volte non ti capisco"
"Si invece, tu puoi"
Brenda gli appoggió la tazza davanti "non voglio farti da psicoanalista Dylan. Ci sono cose che devi risolvere da solo. Fai male a troppe persone"
"Lo so" disse lui  "voglio solo rimanere qui. Un po'. A scrivere"
"A scrivere..."
Dylan bevve un sorso di te. La sua vita era irrimediabilmente contorta e sapeva bene quanto dolore aveva avuto e quanto ne aveva provocato di rimando. A Kel, a Brenda, a Sammy.
Ma non riusciva a farne a meno. Non trovava alcuna pace.
Quando è diventato padre i suoi demoni si erano placati per un po'. Pensava di riuscire a controllare quella disperazione che tanto aveva storto la sua esistenza. Suo padre era chissà dove. Neanche una telefonata. Neanche un ciao Dylan. Sua madre era impegnata con la scuola di meditazione alle Hawaii.
Quel bambino, Sammy, quando lo strinse portava qualcosa con se, qualcosa che non aveva mai visto, ma dopo un po' la sua insofferenza aveva cominciato a risalire come schiuma dal fondo. Voleva andare. Voleva uscire.
Guardò Brenda. I suoi capelli neri. Lunghi. I suoi occhi azzurri vivi.
A come se ne era andato l'ultima volta e a come oggi era tornato. Da lei.
E lei gli aveva riaperto la porta. Ancora.
Ripensó a Kel, che aveva provato a far funzionare le cose. Che avevano comprato una casa come voleva lei. Kel, che lui aveva incattivito con le sue fughe e con i suoi ritorni.
Kel, che capiva il suo cuore a metà perché anche lei lo aveva cosi. E hanno cercato di far funzionare quelle metà come fosse una cosa sola.
Kel, che comunque lo amava. Come lo amava Brenda. Come lo amava Sammy. Di un amore che non sentiva di meritare.

Guardate il video dell'episodio cliccate in alto sopra il titolo.

Oltre la fine. Beverly Hills 90210Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora