142. Soci.

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Valerie era tornata dal funerale e si era precipitata sotto la doccia. Sperava che l'acqua portasse via sia la polvere che aveva preso al cimitero, che la tristezza accumulata nel vedere Clare piangere a dirotto per una morte che non era neanche nell'aria, in un momento particolarmente delicato della sua vita. Era tornata da poco in California, con la precarietà che può caratterizzare i primi tempi dopo un trasferimento. I presupposti per piantare radici solide sul posto c'erano tutti. La propria famiglia, un lavoro, gli amici, una storia d'amore. Ma nell'arco di poche ore era stato spazzato via tutto. E gran parte di responsabilità se la sentiva addosso. Certo, non aveva ucciso lei il rettore Arnold, che non vedeva da parecchi anni. Ma di sicuro aveva ferito Clare, forse irrimediabilmente, gettandosi tra le braccia del suo ragazzo. Steve; avrebbe potuto prenderselo tante volte da quando lo conosceva. Sarebbe bastato un gesto, un cenno, uno sguardo ammiccante e lui sarebbe caduto ai suoi piedi. Perché aspettare proprio che il ragazzo facesse coppia con la sua amica, nonché coinquilina? Proprio sotto lo stesso tetto? Proprio nella stanza accanto? Forse le voci che la davano per una poco di buono non avevano torto. Forse la conoscevano più di quanto si conoscesse lei stessa. Forse l'arte d'irretire uomini era la sua ragion d'essere. Quanti amanti aveva avuto durante la sua vita? Non se lo ricordava neppure. Si sentiva debole, più di prima. E continuava a strofinarsi con una spugna ruvida, ma quella sensazione non andava via. Uscì dalla doccia ed ancora in accappatoio si mise nel patio ed accese una sigaretta. A New York aveva cominciato a fumare, credeva che contribuisse a smorzare lo stress, salvo accorgersi che l'unica cosa che riusciva a smorzare era il denaro nel portafoglio. Ma era ormai più che un'abitudine e pensò "Aggiungiamo questo alla lista dei miei fallimenti". Prese il telefono e chiamò il capocantiere per sapere come erano andati i lavori quest'oggi, visto che non era potuta andare al locale. Riagganciò e guardò la rubrica. Steve.
"Cosa vuoi?"
"Perché mi rispondi così?"
"perché dire che sono di pessimo umore non rende l'idea; e tu sei la maggiore artefice di questa sensazione"
"Ah si? Sentiamo, ti ho costretto io a tradire la tua ragazza? Non mi pare"
Steve tornò più docile "Si, probabilmente hai ragione"
"Probabilmente"
"Al funerale non ci siamo praticamente salutati"
"Me ne sono accorta. Hai provato a parlare con Clare?"
"Sono giorni che ci provo; non mi risponde al telefono, sono andato alla camera ardente in ospedale, ma Andrea mi ha impedito di vederla, su sua chiara indicazione. Al funerale, finita la funzione, mi sono avvicinato mentre era in lacrime"
"è stata sempre in lacrime"
"Si, appunto; appena mi ha visto, tra i singhiozzi, ha sillabato v-e-r-m-e e mi ha detto di andarmene; ho il morale a pezzi. Mi sento in colpa, vorrei consolarla, ma forse sono la persona meno indicata in questo momento"
"Già, mi sento allo stesso modo. E mi fa stare più male saperla sola"
"Donna è con lei; ha lasciato il bambino a Felice ed è andata a casa Arnold direttamente dal funerale. Credimi, non so cosa fare"
"Ti direi che il tempo aiuta, ma sto troppo male anche io e non sono in grado di tirare su il morale di nessuno. Aspettiamo, vediamo cosa succede"
"D'accordo, ciao". Riagganciarono.
Valerie guardò l'ora, erano appena le 15. Non aveva pranzato, ma non aveva fame. Decise di andare al locale, anche se aveva avuto rassicurazioni nella telefonata di mezz'ora prima.
Arrivò al locale in pieno pomeriggio, faceva abbastanza caldo.
"Polvere, ancora polvere" disse tra se, quando ebbe udito i lavori procedere tra le mura del Peach Pit. Ma ormai era lì e si avviò all'ingresso. Gli operai si davano da fare alacremente, anche perché la ragazza aveva promesso un premio di produzione se avessero finito i lavori entro i termini stabiliti. Ai margini dell'interno, tra la polvere, Valerie vide una figura conoscente. Anche se di spalle, la sagoma era per lei inequivocabile.
"David, cosa fai qui?"
"immagino come potrebbe essere; il mio ufficio, ad esempio, lo immagino da questa parte" ed indicò la zona alla sua destra. Valerie sorrise: "Ah, proprio accanto al mio; staremo fianco a fianco".
"Lavoro Val, solo ed esclusivamente lavoro"
"Assolutamente David; e poi, credimi, in questo momento non riuscirei a pensare ad altro che al lavoro. A proposito, Donna lo sa?"
"Non ancora"
"Ho capito" Val fu sconfortata da quell'ammissione e cominciò a guardarsi attorno con l'aria di chi aveva appena ricevuto una risposta negativa ad una proposta
"A Donna ci penso io, tu preoccupati che il locale sia pronto entro la data stabilita. Che sarebbe?"
"Venti giorni da oggi"
"Venti giorni!? Ma è praticamente domani! Come facciamo ad inaugurare tra venti giorni se non hai neanche idea se fare hamburger o servire drink?"
"A parte che l'idea ce l'ho, ma poi mi hai chiesto quando sarà pronto il locale, non quando intendo inaugurare"
"Perché tu vuoi farmi credere che terrai il Peach Pit pronto e chiuso?"
Val distolse lo sguardo "In effetti no; ma non ho avuto il tempo di organizzare. Mi serviva un socio" lo guardò sorridendo
"Non correre, per il momento ti darò una mano, dietro lauto compenso, si capisce"
"Si certo" sorrise sarcastica Valerie
"Se le cose andranno come penso, magari entro 6-8 mesi potrei entrare in società"
"Troppo facile Silver – si fece d'un tratto seria la ragazza – se le cose vanno bene entri in società, altrimenti resti un dipendente a zero responsabilità. Ed il rischio resta mio, solo mio".
Anche David si fece serio: "Tu hai ragione, ma mettiti nei miei panni, devo lasciare un lavoro per un'avventura, per seguire una donna che già in passato ha messo in pericolo il mio rapporto di coppia. Come faccio a dirlo a mia moglie? – Valerie ascoltava – una cosa è dirle che ti devo dare una mano, un'altra che prendo delle quote societarie"
"Quindi la motivazione sarebbe personale, umana?"
"Precisamente"
"E' un problema tuo Silver, a me non mi riguarda. Questi sono affari, non è una missione caritatevole. Se vuoi, un lavoro qui per te c'è. Ma devi rischiare quanto rischio io, altrimenti non se ne fa nulla."
David non rispose subito, ma sapeva che il discorso di Valerie non faceva una piega. Prese il giubbotto che aveva poggiato su una sedia, ne scrollo la polvere e si rivolse alla ragazza: "Dammi 48 ore"
"Ok, ma ricordati; dentro o fuori"
"Dentro o fuori" e si strinsero la mano.

Oltre la fine. Beverly Hills 90210Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora