Capitolo 50. Fame.

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Valerie sentiva il peso della solitudine. Aveva assistito alla reazione disperata di Kelly e Dylan per il rapimento del figlio, aveva provato a prendere l'iniziativa, ma era stata subito fermata da David; non ascoltata. E poi Steve l'aveva scaricata davanti al Peach Pit.
Valerie sopportava poco i no come risposta. Da sempre. Aveva provato a reagire. A farsi parte del gruppo. Era affamata di affetto più degli altri. 
Steve non aveva replicato al suo messaggio. Era sparito. Come David.
Sorrise fra sé e sé. Come biasimarli. Valerie la regina dei guai. La spregiudicata. Eppure sia Steve che David conoscevano bene il suo sorriso. Sapevano cosa ci fosse dietro ma sembrava ne avessero perso memoria.
A Los Angeles il suo potere era perso. Le sembrava evidente. David, che sino a qualche giorno prima faceva capolino all'Hilton cercando quel calore che in casa non trovava più, non le rivolgeva quasi la parola, senza che lei avesse commesso alcun torto. Non nei suoi confronti, quanto meno.
Steve che senza alcuna spiegazione, dalla sera alla mattina, non la degnava di una parola, parlata o scritta che fosse. L'avevano usata perché lei si faceva usare e usava per prima.
Brandon, che aveva ritrovato dopo anni e con il quale in pratica avevano convissuto per parecchio tempo,  aveva la testa altrove. Non si capiva dove.
Brenda l'aveva appena sfiorata.
Di Kelly e Donna già sapeva. Non c'era da farsi domande. Per paradosso erano le più chiare.
Nessuna comprensione del suo atteggiamento. Erano estranei. Non si sentiva invitata a quella riunione di famiglia.
Voleva tornare  alla sua vita nella Grande Mela. Lì aveva una famiglia. I suoi amici eccentrici. Il suo appartamento lussuoso. Solo perché non era come gli altri non voleva dire che quella sbagliata fosse lei. Aveva già dato comunicazione a chi di dovere che sarebbe rientrata alla galleria di Broadway entro un paio di settimane ed aveva ricevuto il bene stare. Era riuscita a traghettare la galleria di Hollywood dal baratro al successo, replicando il modello che già aveva applicato a New York. Il suo lavoro sapeva farlo, senza ombra di dubbio.
Le squillò il telefono. BRANDON.
"Si?"
"Hei.. disturbo?"
"No, dimmi pure" il tono  vistosamente distante.
"Dai Val, ti sto chiamando per rimediare; almeno ci provo"
"A cosa, scusa?"
"A tutto" le rispose Brandon disarmato "da quando ci siamo rivisti sono stato troppo duro. Ed in realtà so molto poco sulla tua vita degli ultimi cinque anni, non abbiamo praticamente parlato. Io qui ho quasi finito il mio lavoro. Sto per andarmene Val"
"Siamo in due, allora"
"Non avevi altri mesi da fare?"
"Il mio lavoro qui si è concluso" rispose lei "in tutti i sensi".
"Perfetto, non credi che ci meritiamo una cena tra vecchi amici?"
Valerie si ammorbidì, era contenta. Forse una parte di quella famiglia ancora la voleva con sé.
"D'accordo Brandon, ti concedo questa serata; ho un'agenda fitta di impegni, ma per te troverò il tempo"
"Ecco, brava; ci vediamo stasera nella hall dell'hotel verso le 20. Prenota tu dove preferisci, so che ti piace scegliere i ristoranti in cui mangiare ed in genere non sbagli".
"Si, è una delle mie doti – sorrideva – d'accordo, ci vediamo più tardi" e chiuse. Tornò a rasserenarsi allo specchio, prima di prendere l'agenda dove aveva annotato i ristoranti più in voga della città. Si preparò con cura. Quella parte nera di lei emergeva sempre. Sedurre Brandon poteva essere un finale degno.
La cena era piacevole. Brandon aveva raccontato del suo lavoro a Washington, della trasferta in Afganistan,di Roma tra i monumenti, e del reportage che forse  gli avrebbe consegnato le chiavi di qualcosa di più importante.
"E in tutto questo lavoro, il cuore Brandon?"le chiese lei.
Lui sorrise "non so che dirti non sono fortunato. Appena arrivato a Washington ho trovato Susan. Ci siamo frequentati per un po'. Sembrava funzionasse. Non ha funzionato. Sembra che sulla lunga le cose si spezzino per me. Comincio a pensare che sia io il problema".
"E che fine ha fatto Susan?"
"Vive a Taipei. Con Jonathan" fece una breve pausa "Te lo ricordi Jonathan?" le fece lui ironico.
"Quel Jonathan?" gli chiese Val.
"Quello, proprio lui, pare che certi sodalizi non finiscano mai".
"Ah mi dispiace".
"A me no. Per niente. Non è una ferita profonda" addentò un po' di insalata "dopo di che ho viaggiato. Conosciuto molte donne. Amato nessuna".
"Si vede che per noi è così".
"Per noi?" le chiese Brandon.
Valerie gli raccontò del tentativo di rimettere radici a Buffalo, del trasferimento a New York, dell'ascesa professionale, della sua vita sicura, di successo. Parlarono molto su cosa fosse in realtà il successo e se lo avessero veramente incontrato, visto che venivano acclamati nei rispettivi contesti lavorativi, ma alla fine erano soli. Alloggiavano in albergo, non avevano nessuno ad attenderli la sera, nessuno a cui raccontare la giornata appena trascorsa, nessuno con cui addormentarsi. Soli. Inopinabilmente, atrocemente, soli. Ne continuarono a parlare in taxi, mentre tornavano in hotel. Avevano intenzione di alzare il gomito, di bere, di non pensare.
Arrivarono all'ascensore. Ridacchiavano senza motivo.
"Brandon, mi sa che non reggi il vino".
"Io ho fatto un corso di sommelier a Roma; un anno per potere disquisire di Sangiovese, Nebbiolo, Aglianico e compagnia caantaaanteeeee" intonò la parola imitando Pavarotti, Valerie scoppiò a ridere. "Signorina Malone, le mi sembra un po' brilla, non credo potrà raggiungere la sua stanza incolume; posso scortarla?"
"Certo, messere, con grande piacere".
L'ascensore fu al piano, uscirono e si diressero alla 313, la stanza dell'amore, come l'aveva ribattezzata ridendo Bran. Valerie non era stata in grado di ribattere e cominciò a sganasciarsi di gusto.
Arrivati alla porta, Brandon diede un bacio in fronte alla ragazza.
"Buonanotte, piccola Valerie"
"Ma non mi rimbocchi le coperte?" si era fatta seria. "Piccola, ma non così piccola; ci riesci da sola".
"Io invece credo di avere bisogno di una mano; e di tutto il resto" mise le mani attorno il collo di Brandon, avvicinando inequivocabilmente le sue labbra a quelle del ragazzo. Il quale sganciò la presa di lei da dietro la nuca, riposizionò le sue braccia lungo i fianchi e fece un passo indietro.
"No" le disse.
"Perché?"
"Perché meriti di meglio di questo".
Valerie sentì un vecchio dolore risalire. Cercò di fermarlo con le mani. Vecchie cose insolute che non morivano mai.
Si arrese a lui "Forse hai ragione; hai sempre ragione" rovistò nella sua borsa in cerca della chiave magnetica.
Aprì la porta "Allora buonanotte Brandon", "Buonanotte Valerie, grazie per la serata".
Valerie sorrise senza sorriso.
"Non avrò i capelli biondi, ma non credo di essere così male" una stilettata che non voleva risparmiarsi.
Brandon rise e rise anche lei "Buonanotte Valerie" disse lui alzando la mano in segno di saluto mentre si allontanava da lei.

Oltre la fine. Beverly Hills 90210Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora