126. Ritorno a Los Angeles.

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"Signora, le serve un taxi?"
"Si, grazie, li ci sono i miei bagagli". Il tassista rimase pietrificato di fronte quello che sembrava un trasloco in piena regola. Valige, borsoni, bauli, pacchi di ogni dimensione. Il marciapiedi era letteralmente invaso da contenitori di ogni forma e misura.
"Forse è meglio che chiedo aiuto a mio cugino Miguel".
"Si, chiami Miguel e si sbrighi che fa un caldo asfissiante".
Valerie fu piuttosto sgarbata con quell'uomo, ma si era disabituata alle temperature della California ed il caldo la rendeva particolarmente nervosa. A dire la verità, il nervosismo si era impossessato di lei da diverse settimane. Da quando il suo capo aveva deciso, questa volta senza chiederglielo, di trasferirla nuovamente alla galleria di Los Angeles, visto che gli ultimi anni avevano visto il suo fatturato nuovamente in calo, sino a raggiungere il minimo storico. Valerie era riuscita ad evitarne il tracollo la prima volta; Valerie sarebbe riuscita a farlo nuovamente. E pazienza se avrebbe dovuto mettere nuovamente in discussione la sua vita, i suoi equilibri, i suoi rapporti. Bèh, quelli avevano sempre vita abbastanza breve, le era stato ricordato non senza cattiveria da Louis.
"Come ti permetti di giudicarmi? I miei rapporti e la mia vita non sono affari tuoi".
"Probabilmente hai ragione" aveva sbottato Louis, ormai carente di pazienza per i capricci di quella ragazzina viziata, come ormai l'apostrofava quando parlava di lei con amici e colleghi "Io devo pesare agli affari miei e se tu vuoi farne parte, vai a casa, prepara armi e bagagli e tornatene di gran carriera a Los Angeles, altrimenti libera la scrivania".
Valerie aveva sorriso, aveva preso la borsa avviandosi verso la porta dell'ufficio, fermandosi sulla soglia. Si era voltata ancora sorridente, in maniera beffarda "fallo tu e mandami tutto a casa, l'indirizzo lo conosci abbastanza bene". Ed era uscita dalla galleria e da quel lavoro.
Alla fine a Los Angeles c'era tornata lo stesso. Si era stancata di New York, nella quale all'inizio aveva trovato la sua dimensione. Di tornare a Buffalo per affrontare i fantasmi di sempre non aveva la minima intenzione. Doveva ricominciare da capo, per l'ennesima volta. Tanto vale farlo in una città dove non era affatto sola ed una mano d'aiuto la poteva sicuramente trovare. I gemelli Walsh, ormai in pianta stabile a Beverly Hills, continuava a sentirli regolarmente, dall'ultima volta. Gli altri un po' meno, ma era sicura che l'avrebbero accolta. Pedro e Miguel, madidi di sudore e con le vetture stracolme, si presentarono dinnanzi quella bellissima donna "Signora, noi siamo pronti, dove la portiamo?" "Ripartiamo da dove ho lasciato, all'Hilton per favore".
Poi si vedrà pensò mentre guardava il paesaggio desertico che scorreva dal finestrino.

Claire arrivò all'osservatorio come ogni mattina in bicicletta, avvolta da un impermeabile che la proteggeva dall'intermittente pioggia inglese, che in alcuni periodi dell'anno non dava mai tregua. Entrò trafelata ed asciugò gli occhiali; quando li ripose  fu accolta da uno striscione dei suoi colleghi  "Arrivederci Claire", furono stappate bottiglie e saltarono tappi che toccarono il soffitto. Commossa, Claire cominciò ad abbracciare uno ad uno i suoi colleghi, in quello che era l'ultimo giorno di lavoro in Inghilterra. Il vecchio rettore Arnold, ormai in pensione, si era ritirato da un paio di anni a Los Angeles; gli acciacchi cominciavano a farsi sentire e sicuramente avere la figlia vicino, piuttosto che dall'altra parte del globo, lo avrebbe confortato, sia psicologicamente che fisicamente. E così Claire, che aveva terminato il suo periodo di lavoro all'Osservatorio di Greenwich, piuttosto che tornarsene in Francia, aveva fatto richiesta di assunzione all'osservatorio di LA e, visto il suo curriculum, non ebbe alcuna difficoltà a farsi assumere. Il padre, la sua unica famiglia, aveva avuto sempre la priorità nelle sue scelte; e continuava ad averla, nonostante Claire fosse ancora una donna matura con una carriera di successo. Un successo tale, aveva pensato senza falsa modestia, che qualsiasi porta si sarebbe spalancata ad una semplice richiesta. E sino ad ora i fatti le avevano dato ragione.
"Quindi torni a casa" le aveva chiesto retoricamente Melanie, una collega che aveva mal sopportato in tutti quegli anni.
"Immagino tu ne sia affranta".
"Non essere prevenuta, mi dispiace perdere un elemento valido quale sei".
"Questa non me la bevo; questo si" Claire porse il flute all'altra donna, offrendo un sorriso di circostanza.
"Cosa vai a ritrovare a Los Angeles?"
"Innanzitutto mio padre; è tornato lì da un paio di anni, ma è volato sino a Londra lo scorso Natale. Ormai è anziano ed è solo"
"E poi?"
"E poi si vedrà"
"Questa non me la bevo io; hai lasciato il tuo boyfriend in terra britannica senza battere ciglio".
"Non credo nei rapporti a distanza, non ci ho mai creduto".
"Da quanto ne so, non hai mostrato alcun segno di dispiacere nel mollarlo, mentre lui  era immerso in copiose lacrime" sorseggiò un po' di champagne senza sganciare lo sguardo da Claire "è stato un commiato molto British. Io scommetto invece che hai il rimpiazzo pronto a LA".
"Ma di quale rimpiazzo parli? L'unico rimpiazzo che mi interessa in questo momento riguarda il mio calice, vuoto da più di 30 secondi. Conversazione amabile, ma permettimi", Claire si allontanò da Melanie, che in realtà aveva colto nel segno. Da quando era tornata dalla trasferta californiana, non aveva smesso di pensare a Steve. Lo aveva trovato più maturo, forse la paternità lo aveva fatto crescere. Anzi, sicuramente. Contrariamente alla prima volta, prenderne le distanze non era stato affatto semplice né rapido. E di fatto, non ci era riuscita. Gli scriveva regolarmente. Quando si sentiva un po' giù, quando la solitudine nel piovoso clima della campagna inglese si faceva difficile da sopportare. Lui le rispondeva regolarmente. Entrambi cercavano di non mettere al centro delle mail i propri problemi, facendo dell'altro/a e di quelle conversazioni telematiche una sorta di isola felice, in cui potersi rifugiare ogni volta che ne sentivano il bisogno. Non si erano mai sentiti al telefono; forse nessuno dei due avrebbe retto la voce dell'altro senza l'impellente necessità di prendere un aereo per ricongiungersi. E quando Claire aveva preso la decisione di tornare a LA non aveva informato Steve; non sapeva bene il perché. Ed ora era troppo tardi per farlo, preferiva presentarsi alla sua porta e vederne la reazione. Lui non aveva fatto cenno, in tutti quei mesi, ad un altro rapporto di coppia; questo la confortava, anche se non le dava alcuna certezza. L'unica cosa di cui era certa era il sentimento che provava ancora per quell'orsacchiotto: la faceva stare bene, le metteva allegria.
Ma ora era meglio dedicarsi al saluto per quel mondo, che non era il suo ma nel quale si era comunque adattata abbastanza bene. Prese a conversare un po' con tutti, mentre l'alcol la rilassava e ne allentava i freni inibitori. Sino a ché cominciò a raccontare agli ormai ex-colleghi "Si, torno a LA per due uomini, uno è anziano, l'altro è giovane e vigoroso, non so se mi spiego" e giù a sganasciarsi dalle risate. Il giorno dopo se ne sarebbe sicuramente pentita.

Oltre la fine. Beverly Hills 90210Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora