Capitolo 10. Cuore di carta.

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Londra.
Brenda tornò a casa e trovò Dylan seduto sul divano. Era in controluce. Quel profilo inconfondibile lei lo avrebbe riconosciuto in mezzo ad un milione.
Non si era accorto del suo ritorno. Era concentrato sulla lettura, Brenda si avvicinò alle sue spalle. Stava leggendo le sue sceneggiature, sparse sul divano come foglie, le scritture furiose della notte di Brenda, i suoi progetti di diventare una sceneggiatrice teatrale.
" Cosa stai facendo?"
Dylan sorrise senza guardarla, sapeva che si sarebbe arrabbiata.
" Che cosa sono?"
" Niente" rispose lei allungando la mano per togliergli i fogli.
Ma Dylan fu più veloce di lei e con uno scatto rapido li scansò fuori dalla sua portata.
"Questa storia mi è molto familiare..."
"Già" Sospirò Brenda buttandosi sul divano di fianco a lui " Adoro fare l'attrice, ma qualche volta ho l'ispirazione, di notte mi metto a scrivere e questo è uno dei primi lavori che ho fatto, lo so ti sembra banale"
" Non è affatto banale" sorrise e lui "forse perché è una storia che mi è familiare, forse perché io i personaggi non li devo inventare, li ho visti, li ho vissuti"
"Comunque" sbuffò Brenda "per ora è solo un sogno".
" Perché? È un buon lavoro."
" Ho mandato mesi fa al produttore questa sceneggiatura ma non ho mai ricevuto risposta, forse non gli è piaciuta"
"Sicura che l'abbia ricevuta?"
"Sicura"
Questa volta fu Brenda quella più veloce e riuscì a tirare via i fogli " Non mi piace che spii il mio lavoro, io nelle tue carte non guardo mai"
Sfiorò con le dita il pc e gli appunti di Dylan ormai da giorni sul tavolo del soggiorno.
"Hai chiamato tuo figlio?"
"Si questo pomeriggio, prima che andasse a scuola."
"Kelly come sta?"
"Kelly parla appena, è arrabbiata"
"Giustamente" sottolineò Brenda.
Lui non rispose.
"Dylan ormai è qualche settimana che sei qui, passiamo il tempo insieme, mi accompagni alle prove, vieni a vedere gli spettacoli, usciamo a cena con JT, passeggiamo sul Tamigi, facciamo l'amore di notte, usiamo i nostri corpi per cercare di riempire il vuoto, io non ti faccio domande e tu non mi dai risposte, ma ancora non ho capito perché tu sia tornato, non ho ancora capito che cosa stai cercando, non ho ancora capito se resterai"
"È di questo che volevo parlarti"
Brenda sentiva montare la rabbia, se ne stava andando, lo avvertiva, lo percepiva dal suo sguardo. Sbottò.
" Il mondo non gira intorno a te, Dylan, mi ero ripromessa di non farti più entrare nella mia vita, ma ogni volta che ti presenti alla porta non posso fare a meno di aprirla, di farti entrare nella mia casa, nella mia anima, nel mio letto, in tutte le mie giornate, e vivo sempre con la paura che primo poi te ne andrai, non è più una questione di diciottenni o ventenni che combattono con i tumulti della coscienza, siamo un uomo e una donna, e io ho bisogno di avere un progetto di vita e posso sostenerlo anche da sola, ma di certo non ho bisogno che tu lo distrugga di nuovo"
" Oh mio Dio, ma che razza di problemi hai, sono qui, sono qui adesso, non possiamo vivere il momento? Sono rimasto solo per troppo tempo per poter fare progetti così a lungo termine"
"Non ci provare Dylan, non ci provare" si alterò Brenda "tu non sei solo da tantissimo tempo, hai avuto me, hai avuto i tuoi amici, Kelly, Sammy, la mia famiglia, hai avuto tante persone che ti hanno amato profondamente e che tu hai amato profondamente, questa non è solitudine, è una tua scelta. Sembra che quando ti si chieda un passo in più tu ti senta stringere un cappio al collo. Vuoi sapere cos'è la solitudine? La solitudine è non averne una di scelta, è essersene andata per non dover più vedere il dolore in faccia, la solitudine è aver passato giorni e giorni a scrivere lettere mai inviate, la solitudine non è solo nella tragedia. La solitudine è tuo fratello in giro per il mondo che realizza la sua vita e ti chiama ogni tanto, che ti viene a trovare ogni tanto, che vorresti riportare indietro nel tempo. Te che vorrei riportare indietro e non l'ho potuto fare."
Lui la guardava con occhi dolcissimi.
" Tu hai avuto molto Brenda"
"Sì, ma non è una colpa" Brenda stava alzando la voce " Sembra che tu me ne abbia sempre fatto una colpa. Ma quello che dimentichi, Dylan, è che ognuno combatte la sua battaglia, e non ce n'è una più dura o più leggera, ognuno combatte la propria. Solo per questo bisognerebbe trattare il cuore degli altri come se fosse di cristallo".
Dylan si calmò. La prese e strinse a se.
" Voglio mostrarti cosa faccio quando sono lontano da qui"
Brenda non capiva.
"Vorrei che venissi con me"
"Dove?"
Dylan ci pensó un attimo.
"Puoi prenderti qualche settimana?"
"Settimana per dove?"
"Ecuador"
"Vuoi andare in Ecuador?"
"Voglio mostrarti cosa fa la mia fondazione"
"Perché?" Brenda gli aveva piantato gli occhi addosso.
" Perché quando sono lì il mio dolore si placa. Perché quando sei con me il dolore si ammutolisce".
La dolcezza esplose e pervase la stanza.
"E Kelly?"
"Brenda..." sospirò lui lasciandola..
"E Sammy?"
"Io ho amato molto Kelly, che tu ci creda o meno e lo so che la cosa ti fa soffrire, ma l'ho amata e non intendo rinnegarlo; e amo molto il mio figlio, ma non sono capace di restare con lei, perché finiamo per litigare, finiamo per discutere la quotidianità che io non voglio, finiamo per perderci di vista. Non ha funzionato, lei lo sa, io lo so e quel bambino merita forse qualcosa di meglio"
"Meglio di suo padre?"
" Io non lo so fare. Ed è strano perché è tutto ciò che avrei voluto per me io non sono in grado di crearlo per questo bambino"
"Sei tu il bambino."
"Forse. Voglio sistemare le cose, credimi. Ho bisogno di altro ora, voglio che vieni con me, vieni a vedere."
Dylan fece un sospiro appena accennato.
La bació, lentamente, con piccoli baci lenti sulle labbra e le slaccio lentamente la camicetta. Brenda lo lascio fare. Sentiva il fuoco salire dal centro dell'anima. Era Dylan che la toccava. Era Dylan che la prendeva e lei non voleva farne a meno. Non poteva. La prese e la mise sul tavolo.
Sbottonò i jeans di lui. Lasciarono le mani toccarsi lentamente, poi in modo più frenetico. Meno delicato. Più potente. Mentre la prendeva, Brenda pensó che non gli avrebbe più fatto domande.
Avere Dylan lì con lei, dentro di lei, era un dono. Aveva l'effetto analgesico delle dolci sere di maggio. Sentiva lui farsi più veloce.
Dylan pensó a quanto le fosse mancata.
E a quanto non fosse capace di dirglielo. Fecero l'amore così. In piedi. In una cucina in penombra.
Quella sera uscirono fuori: faceva freddo, ma non importava. Non importava più niente.

Los Angeles

Brandon aveva la testa impegnata da giorni sulle dichiarazioni di Johnson ma si rese conto di aver bisogno di aiuto. Gli servivano altre informazioni. Altri riscontri. Il problema è che non aveva nessuno di fiducia là dentro. Buoni reporter certo. Ottimi articolisti. Ma chi?
Guardava fuori dalla porta a vetri in modo insistente. A New York erano contenti del suo lavoro.
Il suo cellulare si illuminò vibrando "Kel". Non l'aveva nè vista nè sentita in quei giorni, aveva chiaramente evitato e come sempre si era buttato sul lavoro. Non se la sentiva davvero.
Era tornato dove aveva lasciato. Sul limite delle sue peggiori paure.
Quanto credeva di poter evitare?Pensó è finì con il rispondere.
"Stavo per riattaccare" disse lei "scusa magari sei impegnato"
" si, no" si corresse.
"Non ci sentiamo da quella sera."
Silenzio.
"Senti" riprese lei" non è stata una delle mie migliori serate e mi dispiace, ma non mi dire che non ne hai anche tu di brutte giornate".
"A centinaia"
Lei rise.
"Ti devo una cena. Vieni. Voglio solo il mio amico Brandon qui. Come una volta. Santo cielo i pessimi ingressi si possono sempre recuperare, o no? Non è quella l'immagine di me che vorrei tu tenessi"
Brandon sorrise, non è mai stata quella l'immagine.
"Scegli tu" gli rispose sollevata lei "barbecue?"
"Andata"
Betty entrò non appena ebbe riattaccato.
"Signor Walsh c'è il direttore Barret"
"Fallo passare, questo ufficio è il suo" rispose Brandon teneva ancora il sorriso addosso.
Fred Barret era un vecchio lupo del giornalismo. Un cuore di carta. Sulla sessantina. Una presenza importante.
Si strinsero la mano. Brandon si sentiva in imbarazzo, quello in fondo era l'ufficio di lui. E Brandon lo stava solo sostituendo.
"Ti prego chiamami Fred"
Si accordarono anche sul darsi del tu.
"Allora come va la mia baracca"
"Non lo so, dimmelo tu Fred"
Lui si guardò intorno "direi bene. Sai volevo passare prima per il passaggio di consegne e tutto il resto, ma Mindy non sta bene. E insomma.."
"Non ti preoccupare. Betty mi ha aperto le porte" disse lui scambiandosi un sorriso con lei che intanto aveva portato il caffè bollente.
"Noi ci siamo conosciuti"esordì Brandon.
"Davvero?" rispose Barret interlocutorio.
"Appena laureato feci domanda qui"
"Respinta?"
"Già"
Barret sospirò "non ci avevo capito niente allora..." risero insieme.
"No, invece" lo fermò Brandon "penso che sia stato meglio cosi, dovevo fare la mia strada"
"Mi pare che tu ne abbia fatta"
Brandon tornò ai giorni del Beat. A lui, Steve e Janet. Al mettere insieme con un filo di spago quel giornale. Eppure quel piccolo giornale locale aveva portato i suoi articoli sotto gli occhi giusti.
E non era stato abbastanza grato per questo.
Parló a Barrett di quello che gli era capitato fra le mani, delle dichiarazioni di Johnson e lui si infuocó di passione. Ancora.
Aveva bisogno di quel lavoro, era evidente.
"Ti posso dare una mano io se vuoi"
"Sul serio?"
"Conosco parecchia gente"
"Ma sei in aspettat.."
Non finì neanche la frase.
Aveva trovato chi poteva aiutarlo. Nessuno meglio di lui.

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Oltre la fine. Beverly Hills 90210Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora