Capitolo 60. Oltre il confine. Come la neve.

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Dylan e Kelly procedevano verso l'aereporto.  giocava con un paio di dinosauri sul sedile posteriore.
"Te la caverai?" chiese lei posando gli occhi su Dylan.
Lui guardò brevemente il bambino e poi le sorrise.
"Ce la caveremo, e tu?"
"Speriamo" rise lei.
Parcheggiò nelle soste brevi, Kelly baciò Sammy sulla fronte, "tornerò nel giro di un paio di giorni".
"Magari di più" precisò Dylan.
"Magari questa sera".
"Kelly.."lui gli si fece più vicino "io sarò sempre qui quando avrai bisogno di me, io e Sam ci isaremo sempre, questo lo sai, ma hai diritto ad andare oltre, in quella direzione possibile semplicemente perché lo vuoi. Ne abbiamo parlato. Ne parleremo ancora se vuoi. Ora tocca a te. Non a me, non a Sammy. A te. Nessuno toglierà a noi ciò che è stato. È qui sul sedile posteriore. Non voglio che passi una vita di rimpianti a chiederti cosa sarebbe successo se, come sarebbe la tua vita se, non è giusto e non è quello che vogliamo per noi. Non voglio più che tu sia infelice. Prendi quell'aereo."
"Stai parlando di me o di te?" gli chiese lei seria.
"Non ci provare Taylor" sorrise lui.
"E se fosse un disastro?" chiese Kelly.
"E se funzionasse?" quelle parole dette da Dylan involontariamente le riportarono l'immagine di Brenda sotto la pioggia. La sua mano alzata. La pioggia battente.
"Prendi quell'aereo Kel" Dylan le sorrise e per lei fu una liberazione.
Atterrò a Washington DC  cinque ore dopo, quando lì era già sera. Steve le aveva dato l'indirizzo. Ora che si trovava sul taxi che scivolava via nelle strade lucide,  pensò a come era strana la vita, alla ripetizione della storia; a Washington era venuta a prenderselo e a Washington tornava ancora una volta, e se ci fosse qualcun altro in quell'appartamento? E se ci fosse qualcun altro con lui? Cosa poteva dire?
Era tentata di far fare inversione al taxi e alla sua vita, riprendere l'aereo e tornare a Los Angeles, ma Dylan aveva ragione, non voleva vivere con il "cosa sarebbe successo se". Ci sono cose che tornano difficilmente la prima volta. Figuriamoci dopo. Non voleva lasciarlo andare. Non ora.
E poi quel senso di disciplina. Quel tenere tutto in piedi per sicurezza. Era una strada troppo lunga e troppo triste. Non la voleva vedere. Non più.
La palazzina dove viveva Brandon era in un quartiere elegante, con viali alberati che attendevano la primavera, come lei.  Pagò il taxi e scese.
Teneva stretto il cellulare tra le mani e si rese conto in quel momento che non aveva minimamente pensato che Brandon potesse non trovarsi a Washington. Aveva fatto mezza valigia in fretta e furia. Aveva prenotato il volo. Aveva assecondato ogni singolo pensiero che quella lettera le aveva regalato. Ne aveva seguito i movimenti. Le oscillazioni dell'anima. E ora si ritrovava qui. In mezzo ad una strada di Washington D.C. senza sapere. Senza certezze.
Qualcuno uscì frettoloso dall'edificio e lei si infilò nell'androne.
Brandon Walsh appartamento 3 B. Lo lesse sulla cassetta della posta. Cominciò a salire le scale e le tremavano le gambe. Dunque era così che ci si sentiva ad attraversare l'oltre.  Spaventati e colmi di adrenalina.
Arrivò davanti alla sua porta in noce di legno scuro. Ripensò a quando le aprì la porta in quell'albergo di Washington. Scapigliato, assonnato, sorpreso. Sperò per un attimo di trovarlo ancora così. Il confine dell'oltre si faceva più vicino e lei ne era attratta, sedotta, incantata. Improvvisamente non le importava più come sarebbe andata. Non aveva paura.
Suonò il campanello. Nessuna risposta.
"Ah, ecco" rise di sè Kel, tutti quei problemi e lui non era neanche lì. Rise e sorrise del suo coraggio, di tutte le cose che non sappiamo e non sapremo mai, e che qualcuno un giorno ha fatto per noi. Mentre eravamo voltati. Mentre eravamo altrove.
Si guardò intorno e uscì  di nuovo fuori a prendere aria. Il cellulare in mano. I pensieri nell'altra. Si sedette sui gradini del palazzo. Forse era destino così. Non riusciva a smettere di sorridere, le pareva una scena da film, di quelle tipo Bridget Jones. Si sentì umana, incantevolmente difettosa.
"Kel?"
Alzò lo sguardo e lui era lì. Con la valigetta e le chiavi della macchina in mano. Fermo, in piedi davanti a lei.
"Kel, cosa fai qui?" le chiese Brandon luminoso e smarginato.
Lei si alzò sistemandosi il vestito, disarmata,  indifesa, incantevole. Prese a due mani il coraggio, i suoi giorni, i chilometri, i passi, l'allegria, la mancanza e fece uscire tutto d'impeto. Li rovesciò davanti a lui.  Come zucchero. Ora e per sempre.
"Sono venuta a prenderti" gli rispose sorridendo. Il tempo si fermò. Smise di ticchettare.  Non c'erano rumori. Di nuovo l'ora muta. Come la neve che stava scendendo. Fine. Farinosa. Impercettibile. Eccolo lì il magnifico, straordinario, stupefacente confine dell'oltre.
Aveva quella forma lì. Dei loro sorrisi. Del loro tornare. Del loro andarsi a prendere. Sotto la neve.

Oltre la fine. Beverly Hills 90210Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora