Capitolo 12. Baby boy.

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Los Angeles

La cucina era in subbuglio, sembrava fossero appena passati i ladri. Le stoviglie sporche nel lavabo, sei diversi biberon sparsi per il piano cottura, ovviamente sporchi, succhiotti per terra, pannolini maleodoranti nel cesto della spazzatura, macchie assortite di vario colore sul pavimento, sonaglini, body per neonati, creme esauste per gli arrossamenti , peluche assortiti, abiti premaman sugli sgabelli accostati all'isola un tempo usata per la colazione e che ora in balia di barattoli e buste di latte in polvere, tutte vuote. Un vero delirio. La colonna sonora era una sola, costante, inesorabile: lo strillo di un bambino. Ethan non voleva saperne di dormire, né di giorno né soprattutto di notte. Donna alternava la tristezza per un accenno di depressione post parto all'isterismo per la mancanza di sonno. David non sapeva a che Santo votarsi. Prendeva il bambino e strillava più forte; lo lasciava nella culletta e strillava sua moglie.
"Prendilo, per amor di Dio!".
Aveva solidarizzato con il proprietario di una piccola bottega per bambini vicino casa, in una sorta di alleanza paterna; Josh, questo il nome del "solidale", aveva tre bambini di 6, 4 ed 1 anno. Quindi conosceva a menadito quello che Silver stava attraversando. Risparmiava la classica battuta "ed ancora non hai visto nulla", che dall'alto della sua esperienza con tre infanti avrebbe potuto sfoderare senza alcun rischio di errore; ma sapeva che per consolare un padre alle prime armi doveva evitare di cadere nel clichè. Cercava anzi di confortalo: "vedi me? Sono qui, sano e salvo, sopravvissuto a tre gravidanze, tre parti, tre svezzamenti e quant'altro. Passerà, devi solo avere pazienza ed una grande tempra. Puoi farcela Silver".
Queste rassicurazioni avevano senza dubbio un qualche effetto sul ragazzo che, ad un certo punto, cercava quasi la scusa per andare da "Baby". Tanto che Donna cominciava quasi a sospettare che avesse un amante.
"David Silver, questi tuoi continui viaggi da Baby mi lasciano perplessa; non starai facendo il cascamorto con qualche ragazzina alla cassa?!"
"Si Donna, la bellissima Josh. Ma non dire stupidaggini, cerco solo di rendermi utile per il nostro bimbo"
"Bene, allora fallo e vai a prenderlo! Non senti che piange? Sarà sporco, cambiagli il panno e magari, se non è troppo disturbo, fagli un bagnetto".
David cercò, anche questa volta, di non andare in escandescenza; ricordò quanto il suo analista gli aveva detto a proposito delle puerpere e portò ancora pazienza, senza replicare. Si diresse dal bambino, che strillava come un ossesso, lo prese e cominciò ad armeggiare in bagno per mettere fine a questo supplizio. E fu mentre Ethan si era calmato e si stava godendo il relax dell'acqua calda che squillò il cellulare. Sullo schermo un numero non registrato. "Chi sarà mai che disturba papino mentre gioca con il suo bimbo?", Ethan lo guardò sorridente. Ed il suo sorriso rimetteva subito tutto il mondo al suo posto. "Pronto"
"David ciao! Che piacere sentirti! Come stai?" "Scusi, chi parla?"
"ma come non mi riconosci?".
Come faceva a non riconoscerla, erano passati cinque anni, ma la sua voce era sempre la stessa. Ripensò velocemente a quel saluto dinnanzi il taxi con il motore acceso, davanti casa Walsh.
"Chiama appena arrivi" disse David.
"Mi mancherai"
"mi mancherai anche tu" rispose sincera Valerie "perché non vieni con me?" aveva accennato, con poca speranza.
"Non posso lasciare tutto così" aveva sorriso David.
"Lo so; affrontiamo il futuro senza guardarci indietro, non bisogna mai guardarsi indietro...ciao" concluse Valerie commossa. Si abbracciarono e dopo pochi secondi il taxi scivolava sull'asfalto verso l'aeroporto. E poi Val al suo matrimonio. Sempre la stessa, sempre diversa. Felice per lui. Indipendente Val, alla ricerca di qualcosa Val.
"Sei sempre lì?" Valerie riportò David al presente, "Ma certo Val, come stai?" disse con un misto di felicità e perplessità nel sentire la bella Malone dopo tutto questo tempo.
"Ce ne hai messo di tempo per riconoscermi; credevo che la mia voce ti avesse lasciato un segno indelebile", disse abbassando di un tono il timbro ed ammiccando allo specchio che aveva sulla scrivania. Con gli anni la sensualità di Valerie aveva acquisito maggiore consapevolezza; alla bellezza aveva aggiunto una maturità che la rendeva "spietata" quando decideva che un uomo doveva essere suo. La sua posizione sociale infine, da donna in carriera, le restituiva un fascino al quale era impossibile resistere. Ma in quel momento stava soltanto giocando. Un gioco che il buon Silver non colse fino in fondo, visto che dal piano di sotto Donna stava urlando "David tutto bene di sopra? Ethan è ancora vivo?"
"Si Donna, stiamo benissimo, ma grazie per l'interesse!" ed abbassando il tono "Valerie, in questo momento, l'unico segno indelebile sono i residui di latte di mio figlio sul mio jeans; spero di riuscire a ripulirlo. Come stai? Qual buon vento ti porta a cercarmi, dopo ben cinque anni in cui non hai fatto uno straccio di telefonata?"
David usò tutto il sarcasmo di cui era capace "Lo so – fece la gatta lei – non sono stata una buona amica, ma sai: ero rientrata a casa dopo tanti anni, mia madre, i contatti da riprendere, una vita da ricostruire. Non volevo legami con Los Angeles, era già difficile ripartire da zero senza mettere in mezzo la nostalgia degli amici lasciati".
David si rabbonì "Certo, lo posso capire".
"Dopo 3 anni me ne sono andata – continuò Val – e mi sono trasferita a New York, dove ho cominciato a dirigere una galleria d'arte; mi piace tanto, sai?" "Sono contento per te" David era già alle prese con Ethan e l'asciugamano.
"Io nel frattempo, lavoro in una radio, un programma pomeridiano così non mi devo impasticcare per alzarmi" rise " ho fatto un figlio e lo sto asciugando proprio in questo momento".
"Oh, che bellezza" l'ironia passava velocemente da un lato all'altro del telefono.
"Non giudicare quello che non conosci" disse piccato David.
"Nessun giudizio, figurati; andiamo al dunque"
"Si, andiamoci"
"La prossima settimana vengo a dirigere una galleria a Los Angeles, un progetto di sei mesi. Andrò ad abitare all'Hilton per le prime due settimane, ma la vita d'albergo non fa per me, non più; esperienza già provata che non voglio ripetere."
"Ma c'è una qualche convenzione all'Hilton?" "Prego?" disse Val.
"Nulla, vai avanti".
"Ok, ho bisogno di una mano a trovare una casa per i sei mesi di permanenza; una piccola villa, possibilmente con piscina e giardino; ho pensato a te".
"Si guarda, mi mancava il lavoro immobiliare".
"Dai David, non so a chi altri chiedere, sei l'unico amico che mi sia rimasto a Los Angeles al quale possa chiedere una cortesia".
Il buon cuore di David si fece provare da quella richiesta sinceramente accorata; o almeno così sembrava.
"D'accordo Val, vedrò cosa posso fare".
"Grazie grazie grazie David!" era sinceramente contenta.
"Allora ci vediamo martedì alle 15.30 in aeroporto, ti mando un messaggino con i dettagli del volo", "Aspetta un attimo, che significa?"
"Devo andare David, sei un tesoro, ti voglio bene" click. David si guardò allo specchio. Me l'ha fatta un'altra volta, pensò. E sorrise. In ogni caso, ero contento di rivedere Valerie, da sotto ripresero le urla "David, cosa diavolo stai facendo ancora??!!". Molto contento...

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Oltre la fine. Beverly Hills 90210Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora