In un attimo decise che quel tentativo fosse la cosa giusta da fare, perciò si precipitò ad afferrare il tablet dal tavolo e cliccare sul sito per prenotare l'ultimo treno disponibile. Sarebbe dovuto comunque essere a Londra la mattina successiva per la lezione con la sua insegnante di italiano, tanto valeva anticipare la partenza, sperando almeno di poter godere dell'ultimo sprazzo di serata con gli amici e di poter un attimo mitigare il mood giustamente irritato del compagno.
In pochi click portò a termine la prenotazione e poi distese le braccia al cielo, cercando di rilassarsi e godersi le ultime ore che gli restavano nella capitale francese, accettando la proposta di cena della sorella, che per altro avrebbe accorciato la distanza con la Gare du Nord, che non si trovava lontano dal ristorante.
-*-*-*-*-
Arrivò a Londra alle undici e mezza spaccate, sorridendo inconsciamente avvistando l'enorme tetto di vetro curvo, antico lascito dell'architettura tardo vittoriana della monumentale stazione Sant Pancras.
Sbadigliò pesantemente, attendendo che i passeggeri più frettolosi guadagnassero l'uscita, sentendo il jet-lag giapponese farsi strada nel suo fisico sballato da quei continui viaggi intercontinentali, l'ultimo dei quali l'aveva riportato in Europa solo due giorni prima.
Quando il corridoio del treno fu sgombro, avanzò trascinandosi appresso la grossa valigia e approdando in terra inglese, lasciando che, come sempre in quei luoghi, l'odore dolciastro e metallico delle rotaie ferruginose gli si attorcigliasse addosso, per poi sparire nella fredda atmosfera delle strade trafficate, una volta fuori.
Mise distrattamente la mano libera dal bagaglio nella tasca del lungo cappotto nero, estraendone il portafoglio e notando con disappunto come del suo girovagare restasse traccia nella fodera in pelle, che conteneva infatti diversi tagli e monete di varie nazioni, escluse quelle correnti nell'isola britannica.
Sbuffando recuperò allora la Oyster Card, la tessera magnetica per i trasporti nell'area della capitale sperando di avere il credito necessario per arrivare dall'altra parte della città, conscio che con il taxi con i lavori in corso sulla via principale, a quell'ora ci avrebbe messo il doppio che in metropolitana.
Si lasciò andare ad un sospiro disteso, posando la tessera sul cerchiolino giallo degli ingressi e vedendo la spia verde prendere vita; fece quindi girare il tornello e guadagnò accesso alla Piccadilly Line che lo avrebbe condotto dritto fino alla zona sud-ovest di Londra.
Scese le lunghe scale mobili semi-sgombre, adocchiando superficialmente le pubblicità disseminate ovunque, sbadigliando per l'ennesima volta e tornando a percepire l'odore familiare delle rotaie, dallo sbuffo di aria del treno in arrivo, che viaggiando per gli stretti cunicoli sotterranei lo raggiunse, colpendolo dritto in viso e facendogli socchiudere gli occhi per un breve istante.
Allungò il passò, affrettando la marcia, arrivando davanti al convoglio fermo giusto un paio di secondi prima che le porte automatiche si richiudessero, salendo velocemente e prendendo posto su uno dei posti in cima al vagone, sistemando la valigia accanto così che non intralciasse gli altri passeggeri, da bravo Londinese.
25 minuti.
Tanto serviva al minuscolo treno sotterraneo per raggiungere l'altro angolo della città, attraversandola quasi in diagonale.
Si lasciò andare, rovesciando la testa all'indietro contro il vetro da cui poteva percepire ogni vibrazione o leggero cambio di direzione del convoglio, sperando con tutto il cuore di poter riuscire a salutare la combriccola prima che la serata finisse.
Non aveva idea se i ragazzi fossero ancora a casa sua. Aveva scritto a Andy una volta partito da Parigi, chiedendogli come stesse proseguendo la serata, ma non aveva ricevuto risposta alcuna, ed aveva quindi desistito, consapevole del motivo di quel silenzio.
Rimase assorto nel suo mondo a lungo e si risvegliò solo quando un piccolo gruppetto di ragazzi salì chiacchierando gioiosamente alla fermata di Piccadilly Circus.
La tratta che percorreva il centro città portava sempre sui treni delle linee variopinte, i passeggeri più vivaci e rumorosi, che facevano storcere il naso ai residenti della capitale.
Non a caso la maggior parte di coloro che attraversavano quelle fermate, erano turisti spensieratamente in gironzola, muniti di buste di grandi brand o attrazioni, da Harrods all'Hard Rock Café, e vestiti con maglie, cappellini o borse con le effigie della Union Flag o scritte alla "I <3 London".
Il riccio alzò la testa, portandola alla sua destra e sorrise alla gioiosità che traspariva dai loro volti, abbassando appena gli occhi, quando incrociò lo sguardo di disappunto di un brizzolato Englishman in smoking, che a quella sua dimostrazione di felicità condivisa aveva, per l'appunto, storto il naso.
Una delle ragazze alzò appena la voce e fece aguzzare le orecchie al libanese che aveva percepito uno slang linguistico a lui vagamente familiare. La giovane stava parlando italiano.
Immediatamente il suo cervello annebbiato si risvegliò, nel disperato tentativo di captare quanto più possibile e mettere alla prova le sue neo-acquisite capacità linguistiche.
Per i primi attimi faticò a comprendere più di qualche isolata parola, ma quando la ragazza di poco prima prese la parola di nuovo con il suo tono di voce non molto pacato, capì un'intera parte di discorso, trovandosi a sorridere compiaciuto e fiero di sé stesso, ricevendo l'ennesimo sguardo infastidito dall'amabile passeggero in gessato che gli sedeva di fronte.
Intento a captare il resto della chiacchierata, di cui ormai aveva carpito il senso generale, quasi non si rese conto della fermata a due passi da casa, che era già stata annunciata due volte dall'altoparlante e fu solamente la discesa del gruppo di italiani che lo risvegliò e lo fece fiondare fuori dal treno appena prima che le porte si chiudessero.
Una volta in banchina, si fermò dandosi una sistemata, allacciando il giubbotto e rendendosi presentabile ma venne interrotto da una delle ragazze che gli si era avvicinata titubante con una cartina tra le mani e sguardo supplichevole.
In un impeto di compassione, mista a colpevolezza per aver praticamente origliato gran parte della conversazione tra lei e i suoi amici, le sorrise, facendole nascere sul viso lo stesso timido barlume di confidenza che la portò a chiedere con un inglese parecchio sgangherato, indicazioni per la strada dove il loro hotel si trovava.
Mika diede uno sguardo alla cartina, cercando di capire dove si trovassero e come fossero rappresentate le strade su quel foglio di carta traslucido, ma si rese ben presto conto di non riuscire a capire come le vie fossero state schematizzate, non trovando soprattutto il vicolo che sapeva avrebbe permesso al gruppetto di raggiungere l'hotel in due minuti scarsi, invece di disperderli lungo le inutili vie principali.
Dopo un lungo attimo, speso a spremere i suoi neuroni, decise di farla breve e già che c'era, mettere in pratica la sua comprensione dell'italiano e quel poco che fino a quel momento aveva imparato di produzione orale.
"Vieni con me" pronunciò incerto, riconsegnandole la cartina e facendole cenno di seguirlo con un sorriso di incoraggiamento.
La ragazza a quell'uscita sgranò gli occhi incredula. "Parli italiano??" chiese euforica, osservando la figura alta del riccio, come se le avesse appena dato la notizia del secolo "Oddio grazie!!" disse poi alzando la testa verso il cielo e portandosi dietro a Mika che nel frattempo aveva ripreso in mano la sua valigia, pronto a uscire in superficie.
"Il mio inglese fa schifo!" si scusò la ragazza portandosi accanto a lui sulla scala mobile deserta di quell'ora tarda, guardando avanti per non incrociare il suo sguardo.
Mika ridacchiò e poi tentò "Mio italiano anche schiffo" guardandola alla ricerca della conferma di se ciò che aveva appena pronunciato avesse senso o almeno si capisse.
La giovane rise e con un cenno di intesa agli amici disse "Allora siamo pari", espressione che Mika non capì, ma si segnò mentalmente da chiedere alla sua insegnante l'indomani.
Arrivarono fuori dalla metropolitana e i ragazzi lo guardarono in attesa di indicazioni.
Il giovane cercò nel suo piccolo vocabolario mentale le parole necessarie per spiegare ai giovani la via dell'hotel che distava solamente una cinquantina di metri dalla fermata, cercando di utilizzarne più possibile in italiano e arrendendosi all'inglese, accompagnato dai gesti per descrivere ciò che ancora non conosceva in quella lingua.
"Questa piccola strada, avanti, poi... left, e hotel è... on the right." Spiegò puntando le braccia davanti a sé e squadrando la ragazza, sperando con tutto il cuore avesse capito.
"Ok, penso di aver capito!" si rallegrò l'italiana con un enorme sorriso a cui Mika rispose contento con un "Veramente?" direttamente dedotto dal francese vraiment in un impeto di audacia.
"Sì. Se sbaglio non preoccuparti, non è colpa tua. Tu sei stato fin troppo gentile." Lo ringraziò con un'espressione di gratitudine. Mika comprese il senso generale della frase e sorrise di nuovo, voltandosi poi verso la sua via e salutando l'italiana con un "Hai un buon tempo." a cui seguì uno sguardo perplesso dei ragazzi che gli fece ripetere la frase nella sua lingua madre, sperando in una migliore fortuna.
L'espressione incerta dei ragazzi gli fece però capire che il suo "Have a great time" non era arrivato a destinazione come doveva e si limitò quindi ad un "Buona note" e un cenno della mano, prima di prendere definitivamente la via di casa.
Passeggiò tranquillo per la strada che portava a casa sua, ancora immerso in quel mondo fatto di parole difficili e verbi nuovi da coniugare, facendo una valutazione mentale della conversazione appena avvenuta, soppesando ciò che aveva capito e quello che gli era sfuggito, appuntandosi di domandare alla sua insegnante come si traducesse la frase che le ragazze non avevano capito né in una lingua né nell'altra.
La chiesa, non troppo distante da dove si trovava, batté in quel momento 12 rintocchi, facendo risvegliare il libanese che aumentò il passo e si ritrovò davanti al cancellino nero di casa in pochi istanti.
Lo spalancò piano, notando come il fastidioso cigolio che era solito accompagnare i movimenti della piccola inferriata che gli arrivava poco sotto la vita, fosse sparito.
Ringraziò mentalmente Andy per quella piccola accortezza e una volta accompagnata la valigia oltre la soglia, lo richiuse piano, facendo scattare la serratura, per poi dirigersi verso i tre scalini in pietra bianca e salirli scarrozzandosi il pesante bagaglio, piazzandolo davanti all'uscio color panna, estraendo le chiavi e aprendo finalmente la porta di casa.
Fece un passo avanti, abbandonando la valigia appena oltre l'ingresso e richiudendola dolcemente, per poi fare una veloce panoramica dell'ambiente che lo aveva accolto.
Il silenzio e il buio più totale furono le prime sensazioni che lo investirono, insieme al calore piacevole di quelle quattro mura. Ad esse furono però immancabilmente accompagnate sensazioni di delusione e colpevolezza che lo avvolsero, non appena si rese conto che la quiete di casa che tanto era solito amare, per quella sera non fosse portatrice di buone nuove.
Sospirò, serrando la bocca per evitare all'ennesimo sbadiglio di prendere il sopravvento su di lui e ancora avvolto nella quasi totale oscurità, mitigata solo dai lampioni esterni, si spogliò il cappotto e lo lasciò ricadere sul divanetto verde scuro, avanzando poi nella stanza adiacente, in cerca sia di Andy che di Melachi, che stranamente non era ancora giunta a salutarlo scodinzolante.
Pensando che il compagno dovesse senza dubbio essere al piano superiore, data l'oscurità e il silenzio che lo circondavano in quel momento, superato il salotto fece per dirigersi su per le scale, ma una frazione di secondo prima che potesse mettere il piede sul primo gradino di legno, udì un leggero guaito lontano provenire dalla sua destra, dove si trovava la cucina; stranito, fece un passo indietro e si diresse verso la grande stanza dalla candida mobilia lignea, notando dalla porta finestra che dava sul giardinetto il musino di Mel, circondato da un alone attorno al tartufino scuro premuto contro il vetro.
Come la golden lo vide avvicinarsi ulteriormente allungò una zampa a grattare il vetro della finestra, emettendo un mugolio più forte. Mika arrivò davanti alla porta finestra con un misto di gioia nel rivedere la sua adorata cagnolona, ed irrequietezza che lo invase notando come la quattrozzampe fosse stata relegata in giardino, cosa che né lui né Andy avevano mai avuto ragione di fare.
Aprì la porta e immediatamente venne travolto dalla furia giocosa della sua reginetta che per un attimo gli fece dimenticare ogni sua preoccupazione, balzandogli addosso con impeto, passandogli tra le gambe e mugolando contenta.
Dopo un attimo di feste al suo padrone, si staccò da lui e corse dall'altro lato del giardinetto scodinzolante.
Lì restò alcuni secondi nascosta dall'oscurità e dalle piante rigogliose, prima di tornare di nuovo da Mika, e ripercorrere la stessa strada un'altra volta.
Il riccio a quel punto, notando l'insistenza della cagnolina, e compreso come quello fosse il suo comportamento tipico di quando voleva attirare l'attenzione dei suoi padroni, quando tornò per l'ennesima volta, la affiancò e la seguì verso l'angolo più lontano del cortiletto.
Benché i suoi occhi si fossero abituati alla semi oscurità di quel piccolo quadrato di terreno, illuminato da una pallida mezza luna, faticò a mettere a fuoco ciò che Mel gli stava indicando, ma quando venne colto da una lieve ventata di profumo dolciastro, capì cosa, o meglio chi, fosse nascosto, seduto sulla panchina in legno tra le piante di limoni.
"Mel, buona"
La voce roca e appena sussurrata di Andy echeggiò senza difficoltà nel piccolo spazio esterno, racchiuso tra le 4 mura di casa loro e di quella dei vicini, mentre una mano andò a posarsi sotto il musetto della golden, che ora che aveva entrambi i suoi padroncini vicino, si sedette accanto a Andy soddisfatta.
Mika socchiuse gli occhi per concentrarsi meglio sulla scena che aveva di fronte, e senza difficoltà andarono a focalizzarsi sull'unico lumicino presente in quel quadro dai toni bui.
"Stai fumando?"
Il riccio non seppe la ragione che lo spinse a rivolgergli quella domanda come prima interazione col suo compagno che non vedeva da settimane, ma fu ciò che gli venne spontaneo articolare davanti a quella scena per lui tanto nuova quanto sgradevole.
Andy per tutta risposta alzò la mano, che se n'era fino a quel momento stata appoggiata sull'appoggiabraccio della panchina, portandosi la sigaretta alla bocca e ispirando a fondo, per poi trattenere il fumo nei polmoni ed espirare piano verso l'alto, creando una leggera colonna di fumo grigiastro che si dissolse nell'aria frizzantina di aprile.
Mika scorse non senza fatica l'estremità della sigaretta finire tra le labbra del suo ragazzo ed il lumicino arancione farsi più intenso e illuminare quasi impercettibilmente gli occhi semi-socchiusi di Andy, mentre con calcolata lentezza si prendeva il suo momento di tranquilla soddisfazione, incurante del pensiero di chi lo osservava.
"Da quanto va avanti questa cosa?" chiese di nuovo il riccio, cercando di mantenere la calma.
Era vero che la colpa di quella tensione era da imputarsi solo alla sua sbadataggine che gli aveva fatto infrangere una promessa, ma il comportamento di Andy sembrava volerlo sfidare in una maniera che non gli stava piacendo affatto.
"Quale cosa?" rispose il greco dopo l'ennesima boccata di fumo con una smorfia in viso che Mika era riuscito a notare, nonostante tutto.
Mika chiuse gli occhi, serrando le mani a pungo lungo i fianchi.
"Non prendermi per i fondelli!" lo ammonì il moro, mantenendo un tono tutto sommato calmo, ma non celando una evidente nota scocciata.
Andy ridacchiò appena, tirando l'ultima boccata e alzandosi dalla panchina, per spegnere il mozzicone nel terriccio umido del vaso di limoni, per poi trattenerlo tra indice e pollice ed annusare quel profumo di tabacco al caramello, carta arsa, e terra.
"Da quando mi va" rispose quindi il biondo, incamminandosi sullo stretto vialetto tra le due porzioni di giardino e passando accanto a Mika.
Il libanese si sentì pervadere da un moto di rabbia e quando Andy gli fu accanto lo afferrò per un braccio, fermando la sua marcia e ricevendo uno sguardo torvo di rimando che lo scrutò dritto in faccia per poi sposarsi sulla presa della mano sul suo bicipite e tornare ai suoi occhi assottigliati e taglienti in una ferma richiesta di mollare la presa.
"Cosa vuol dire da quando mi va?" chiese a quel punto Mika, mantenendo la mano destra stretta attorno al suo braccio, cercando di infondersi una buona dose di calma per evitare di sbraitare in giardino in piena notte, svegliando mezzo vicinato.
Andy con la mano libera afferrò il polso del libanese, facendogli mollare la presa e poi proseguì verso la porta-finestra del salotto, quella da cui era uscito una mezz'oretta prima, e la spinse entrando in casa seguito da Mel, sotto lo sguardo irritato del compagno che invece proseguì per la porta-finestra che dava sulla cucina, entrando e chiudendo definitivamente anche quella.
Il riccio accese la luce in cucina e quando vide Andy passare dal salotto e dirigersi verso le scale che conducevano ai piani superiori, con due falcate lo raggiunse, piazzandoglisi davanti.
"Senti, non provarci nemmeno a fare l'incazzato con me. Quello che se ne frega del mondo, troppo impegnato a starsene nel suo regno dorato, non sono io!" sbottò a quel punto il biondo, sdegnato dalle domande inquisitorie che si era visto porre, mentre stava in tranquillità cercando di sbollire la delusione che Mika gli aveva dato con quella semplice ma irritante dimenticanza.
"Ma... stavi fumando!" partì però il riccio al contrattacco, sentendo intanto l'aria di casa impregnarsi dell'odore fastidioso del fumo che immancabilmente aveva addosso.
"E tu stavi a Parigi!!!" si infervorò allora Andy, puntandogli un dito contro, ricordandogli il motivo principale per cui in quel momento stessero litigando, e implicitamente anche il motivo per il quale aveva sentito il bisogno di uscire in giardino a fumare poco prima.
"Questo dimostra quanto te ne freghi di chi ti sta intorno. Aron e Sam in cima alla lista. Sai quanto ci tenevano!" gli fece notare ancora, rinfacciandogli la serata persa.
Mika ispirò a fondo "Senti, ho sbagliato, mi sono scusato. Non l'ho fatto appost..." porse di nuovo le sue scuse, che a Andy fecero però l'effetto contrario.
"Cosa cazzo vuol dire non l'ho fatto apposta?! L'hai fatto PUNTO!" sbraitò a quel punto, perdendo tutta la calma che aveva immagazzinato prima.
"Ma senti, era solo una cena...!" cercò di minimizzare il libanese, nel tentativo di fargli capire che non si era perso un'occasione unica ed irripetibile e che stavano litigando come due bambini davvero per un nonnulla.
Andy però a quel punto si accigliò, sentendo le pulsazioni nelle sue vene farsi più intense e ravvicinate.
"Lo sai benissimo che non era solo la cena. Smettila di fingere di cadere dalle nuvole Mika!" lo sbugiardò andando a mettere l'accento sulla questione promessa che entrambi sapevano essere la scintilla di quel rogo e incamminandosi, stanco di discutere, su per le scale.
Mika chiuse gli occhi esasperato e stanco, sentendo la testa iniziare a pulsare lievemente poi riportò l'attenzione al rumore dei passi di Andy che sentiva salire l'ultima porzione di scale verso il secondo piano.
"Metti le tue cose da lavare. Odio l'odore di fumo." Gli raccomandò in ultima battuta, ricordandosi di quanto fastidio gli desse in gioventù, svegliarsi al mattino con l'alone di fumo in stanza, lasciato dagli abiti la sera di ritorno dai pub.
Andy mise il piede sul legno del corridoio e mandò mentalmente a quel paese il suo ragazzo andando in camera da letto.
Mika si diresse invece sul divano. Aveva bisogno di stare da solo per un momento per sbollire l'arrabbiatura di quell'inaspettata sorpresa e cercare di conquistare una tranquillità che gli era necessaria per poterlo incrociare al piano di sopra più tardi senza tornare a chiedergli spiegazioni o ricadere nella discussione di prima.
Restò seduto con la testa pesante tra le mani, combattendo contro il jet-lag che rendeva l'orario tardo, ancor più difficile da sopportare.
Non sapeva spiegarsi il motivo per cui vedere Andy con una sigaretta in mano lo avesse fatto andare fuori di testa in quel modo.
Odiava la puzza che aleggiava nelle case dei fumatori, e che, nonostante cercasse di venir coperta da vari deodoranti, rimaneva comunque ad impregnare gli arredi e gli faceva percepire gli ambienti come sporchi e poco ospitali.
Sapeva che per un cantante, fumare o avere accanto qualcuno con quel vizio era estremamente dannoso.
Ma più di tutto lo faceva imbestialire l'insensatezza che lui attribuiva a quei gesti, in cui vedeva null'altro che una lenta distruzione della propria salute in modo stupido ed irragionevole.
Conosceva Andy da anni e lo reputava une persona matura e razionale, nulla a che vedere con l'aria di strafottenza e superiorità che aveva intravisto quella sera negli occhi azzurri, resi scuri dalle tenebre della notte.
Che l'avesse deluso con il suo comportamento era cristallino, ma la ragione per cui si fosse voluto rifugiare in un'effimera manciata di boccate di fumo, ancora non riusciva a comprenderlo.
Cercando una spiegazione ai suoi perché, e tentando di capire se prima di quella sera vi fossero stati altri segnali di quel suo vezzo, gli balenò in mente come in un flashback la scena di un paio d'anni prima in Grecia, quando nel sistemare il libricino coi testi sulla mensola della camera di Andy, aveva trovato un pacchetto di sigarette che aveva lo stesso odore dolciastro di caramello che aveva sentito in giardino, e che lui ai tempi aveva erroneamente attribuito ad Eleni.
Si portò una mano alla fronte, facendola scendere sul viso e sbadigliando di nuovo, per tre volte di seguito.
Sentendo il sonno farsi avanti inesorabile, decise fosse il caso di salire al piano superiore per una doccia e per potersi finalmente stendere sotto le coperte, ben consapevole che quella notte non avrebbe potuto dormire serenamente con il compagno accanto, ma avrebbero semplicemente condiviso il letto, cercando di sfiorarsi il meno possibile.
Raccolse il cappotto, lasciato sul divano una volta entrato dalla porta ormai un'ora prima e si diresse al piano di sopra, entrando in camera e notando con una certa amarezza come Andy non fosse nel loro letto.
Non ci mise molto a trovare la risposta a quell'assenza. Direttosi in fondo al corridoio, aprì la porta sulla sua destra e notò l'oscurità della stanza interrotta dal biancore dello schermo del cellulare che il greco stava usando, illuminargli il volto e il cuscino sul quale la sua testa giaceva, sul lato destro del letto matrimoniale della stanza degli ospiti.
Il biondo notò la silhouette slanciata del compagno, delineata dalla luce del corridoio, stagliarsi sulla soglia della stanza in sua osservazione, con una mano sulla maniglia e l'altra lungo il fianco.
"Onde evitare che la mia puzza di fumo ti disturbi..." scandì chiaramente in risposta alla silenziosa domanda del moro, senza scollare gli occhi dal cellulare, continuando a digitare velocemente.
Mika, che fino ad un attimo prima sarebbe stato pronto a scusarsi e seppellire l'ascia di guerra, a quelle parole fredde si limitò a chiudere la porta e tornare da dov'era venuto, rifugiandosi in doccia e poi sotto le coperte, ricordandosi giusto un attimo prima di addormentarsi di impostare la sveglia per la mattina e sbuffando, notando le 5 ore scarse di sonno che avrebbe potuto dormire, e che avrebbero dilapidato le sue già scarse facoltà mentali e cognitive mattutine.
La lezione con Isabella gli sarebbe costata un mucchio di fatica, ne era sicuro.
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Buongiorno.
Chiusura illegale, come amata chiamarla...
Eh dai qui ci stava.
Questo capitolo lo aspettavate in tante, chi per la questione fumo, chi per la questione Andy arrabbiato come si conviene.
E adesso voglio leggere i vostri pareri per capire se ho soddisfatto/sto soddisfacendo le vostre aspettative!
Grazie mille, Vv
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Two of a kind
FanfictionLa Mikandy più lunga che sia mai stata scritta. La loro vita raccontata dagli albori fino al 2015. 1000 pagine di word, 200 capitoli, 4 anni e mezzo di pubblicazione. Andò a posare le mani sulle sue ginocchia, accucciandosi di fronte a lui, cercan...