Queen Es

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Ma era lieto di percepire quella scossa lungo la spina dorsale, se non altro perché era conscio che fino al momento in cui quel ricordo fosse stato in grado di scatenarsi in lui con quella veemenza, non avrebbe potuto commettere un errore simile, sempre che di errore si fosse trattato.

Perché era anche conscio, che forse, senza quella dipartita, il crollo della miniera di cunicoli sotto ai suoi piedi, avrebbe potuto affossare la sua esistenza ed il suo io, finendo per provocare un'altra fuga, probabilmente irrimediabile e perenne, quella della sua Penelope.

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"Come va la scrittura??" chiese un Andy euforico al cellulare, dopo essere rincasato dalla mezza giornata di lavoro con la squadra.

"Oh, benissimo!" trillò un altrettanto gioioso Mika in risposta, "Stavamo registrando, ma adesso siamo in pausa perché è l'ora del passaggio degli star tour..." spiegò tranquillamente.

"Passaggio di cosa...?" domandò però Andy stranito. O si era dimenticato un passaggio, o Mika non lo aveva ragguagliato su qualche novità.

"Aaaaah! Non te l'ho raccontatoooooooooo!!" trillò infatti euforico e divertito iniziando a raccontargli meticolosamente della scoperta che aveva fatto due giorni prima, di aver preso in affitto per pura casualità la villetta estiva di nientepopodimeno che Orlando Bloom. Dopo che l'ennesimo bus gremito di turisti si era soffermato appena al di là del giardino, e aveva sentito la voce gracchiante della guida spiegare ai curiosi a quale VIP hollywoodiano appartenesse la villa davanti a cui si erano fermati, aveva sgranato gli occhi e fiondatosi su google, aveva avuto la risposta al suo sospetto.

"E stamattina sono uscito nel vialetto per prendere la moto e andare in città a far compere, è passato lo star bus e la guida mi ha scambiato per lui!" spiegò il curioso fatto di quella mattina "Dio, le fan di Orly sono assatanaaate!" aggiunse facendo sbellicare il greco.

"No ma dai Moosie! Solo te potevi fare una cosa del genere!" ridacchiò ancora incredulo.

"Tu invece? Come va isolano?" domandò a sua volta, sincerandosi del clima e della situazione lavorativa e familiare del compagno.

"Oh benissimo! Procede alla grande. Questo fine settimana ci raggiungono mamma e Eleni qui a Egina" asserì entusiasta spiegando come procedesse il lavoro nei dettagli.

Poi ognuno tornò alle proprie faccende lavoratine e non.

Il libanese non fece in tempo a riattaccare che venne chiamato a gran voce da un euforico Max "Mikaaaa! Ascolta qua! Dimmi se questo riff non sta da dio su Good Guys!" chiese facendo cenno al resto della band di riprendere dov'erano rimasti.

Mika si mise in ascolto attendo per poi sorridere decisamente estasiato. È perfetta!" trillò scambiandosi un 5 con l'amico, che si premurò di mettere a tacere gli amici scettici con una linguaccia.

"Se avete voglia, lavorate su Rio... mi serve un motivetto vivace e non mi viene in mente nulla... io sono di sopra se vi serve qualcosa..." annunciò avviandosi verso le scale.

"Ti spiace se ci facciamo un salto in piscina prima...? Fa caldo oggi..." chiese con sguardo supplichevole Max, puntando gli occhi poi fuori dalla finestra.

"No! Al lavoro!!! Marciare!!!" li redarguì però Mika con fare severo e intransigente a cui il biondino inglese abbassò lo sguardo. Poi, una manciata di secondi più tardi, tempo di lasciar placare la cosa, scoppiò a ridere sommessamente.

"Ma certo che potete! Sono domande da fare?? Non sono mica il vostro capo!" li esortò, sparendo oltre il pianerottolo in legno con una risatina.

Nonostante il sole splendete e le temperature gradevoli della giornata, Mika si sentiva decisamente in vena di rinchiudersi in camera sua e tagliarsi fuori dal mondo. Si sentiva ispirato e credeva di poter ottenere buoni frutti se solo si fosse messo nelle giuste condizioni.

Quella questione con sé stesso aperta su un suo preciso momento della vita, premeva come un buon libro di cui si aspetta con ardore di leggere l'appassionante capitolo successivo, abbandonato la sera prima.

Armato di pc, fogli e colori, si sdraiò sul letto comodo con gli occhi fissi al soffitto e in bocca la sua matita dal capo mordicchiato dai pensieri, con cui aveva composto le ultime canzoni in terra californiana.

Con impazienza tornò ad afferrare quel libro riposto sulla mensola più a portata di mano che avesse nella mente e lo riaprì dove aveva lasciato penzolare il segnalibro, pronto a immergersi nuovamente nella sua storia, della quale avrebbe continuato a leggere in terza persona dapprima distaccatamente, poi scrutando e sezionando i sentimenti del personaggio principale, analizzandone ogni pensiero, quasi fosse uno psicologo e quella la cartella di un altro tra i suoi innumerevoli pazienti.

Riprese alcune righe del capitolo chiuso durante la sua ultima lettura per ritrovare il filo del discorso e gli bastò una frazione di secondo per ritrovarsi nuovamente in terra canadese, durante la sua ultima ora di volo prima di mettere piede nel gelido continente americano già vestito di bianco.

Aveva lasciato Londra e con sé la sua esistenza ed il suo io, pronto e deciso a trovarne uno diverso, nuovo e più maturo. Aveva sbattuto la porta di casa con delicatezza, aveva corso le scale di casa con passo felpato, aveva gridato addio al suo compagno dormiente con una silenziosa carezza, aveva lasciato il continente con fervente malinconia.

Aveva agito spinto dal suo es, quell'insieme caotico e turbolento di impulsi infantili, primitivi e inconsci, privi di alcuna logica o morale sul cui trono la sua anima creativa risiedeva. Era stata lei, sguardo glaciale, scettro in mano e corona fieramente calcata in testa a trascinarlo dove si trovava, sopprimendo il suo superio, giudice razionale, coscienza morale del regno, a guardia delle leggi spirituali, morali ed etiche che invano per giorni aveva cercato si scalzare la prepotenza di sua maestà e portarla a ragionare sulle sue decisioni improprie e inappropriate. L'io, la sua coscienza mediatrice, il consigliere di corte in grado di ascoltare pareri e ragioni della sovrana e del giudice, e di conciliare quindi il volere antitetico delle due forze psichiche e governanti, momentaneamente in esilio, aveva lasciato campo libero ad una battaglia impari, dalla quale la regina dell'irrazionalità era uscita vittoriosa.

E su quell'aereo, la sovrana al galoppo sul suo destriero più possente ostentava a gran voce la sua invincibilità, gridando lungo il suo incedere impetuoso la sua bramosia di conquistare quella terra promessa al di là del mare, al di là della ragione.

Così Mika perso nelle sue sole ragioni, con lo sguardo glaciale della regina a guardia della sua anima d'artista negli occhi, e la realtà mediata dalla sua visione caleidoscopicamente distorta, lanciò uno sguardo alla sua vita, e vi lesse quanto di più ingiusto, insensato, coartato e sbagliato ci fosse.

Dalla sua venuta al mondo in quell'estate torrida mediorientale nella quale i raggi del sole spesso persero la guerra contro il pulviscolo scuro, fitto e acre che aleggiava sopra la capitale libanese; a quel nome altisonante, pedante, tradizionalista che mai si era sentito addosso e che da sempre aveva soppresso dietro a due sillabe addolcite dalla voce di sua madre.

Dalle leggi morali, tradizionali, religiose, culturali che fin dalle più tenera età avevano plasmato il suo essere di fanciullo, tranciando i rami più alti e più ribelli di quel cedro cresciuto in terre lontane, tra l'ombra della tour Eiffel e i rintocchi del Big Ben; quelle imposizioni scolastiche inquadrate, spigolose in cui la sua mente diversa, morbida e sinuosa per anni non era riuscita a rientrare, a quei credo recitati a memoria di cui il senso dapprima sfuggiva e poi contrastava con il proprio essere non riconosciuto, ostentato dal Dio a cui quelle parole erano rivolte.

I was born in that summer when the sun didn't shine
I was given a name that doesn't feel like it's mine
Lived my life as the good boy I was told I should be
Prayed every night to a religion that was chosen for me


E quella ribellione che molte volte aveva messo in atto fuori e dentro la scuola, fuori e dentro le mura di casa, tra le strade e i locali delle sue città mettendo in palio talvolta la sua stessa anima, il suo stesso sé, talvolta le sue ossa, il suo corpo, le sue forze fisiche e dalle quali non aveva mai ottenuto nulla di buono. Nulla!

E la ribellione alla ribellione che era seguita una volta conscio che al primo tentativo non aveva raccolto altro che lividi e insulti, punizioni e lavate di capo. Il nuovo tentativo di rigare dritto, fare del proprio meglio, investire tutto sé stesso tornando indietro a quanto gli era stato impartito, insegnato e da cui si era ribellato senza successo. Ma anche in quel caso... nessun risultato. Nulla!

Sold my soul, broke my bones,
Tell me, what did I get?

Did my time, toed the line
Ain't seen anything yet


E a quel punto senza alcun tentativo a cui aggrapparsi più, lasciarsi andare, sopportare in silenzio, reprimere, annichilire ogni emozione sbagliata, contraria, non approvata dalla società, dalla religione, dalla famiglia e lasciare che il proprio destino facesse il suo corso senza intervenire. Ormai ne era conscio: per ogni ribellione, o ogni ribellione alla ribellione, ciò che aveva e avrebbe ottenuto, era e sarebbe stato un totale disastro o peggio ancora: il nulla!

Strike me down to the ground
You know I've seen it before
Make it hurt, I'll eat the dirt
I just don't care anymore


E fu proprio allora, che la sovrana tra le cui mani risiedevano da tempo le redini del suo io più grezzo, non forgiato, non modellato, non scalfito, o piegato dalle imposizioni della vita lo scosse dal profondo ed emerse in superficie in tutta la sua irruenza e maestosità. E fu allora con lei, il suo es al comando che mise da parte le ribellioni e diede il via alla guerra.

Fu allora che sbatté in faccia alla realtà tutti i suoi tentativi falliti, che da essi raccolse gli insegnamenti che poteva e prese il coraggio di gridare a gran voce ogni cosa avesse fatto, ogni passo pesante che gli era costato muovere e mise in mostra la sua faccia tosta, pretendendo e rivendicando quella terra che gli era stata promessa e che gli spettava di diritto, esattamente come la sua regina stava facendo galoppando imperterrita verso la sua battaglia.

How could you break my heart?
Already played my part
I kept my promise man
Show me the promiseland


Perchè il tempo era giunto di mettere da parte la pacatezza, la compiacenza, la sottomissione che il superio, giudice razionale aveva dettato per anni e di tornare ad occupare il suo trono fieramente a testa alta e con lo scettro puntato verso la meta, rinfacciando al mondo come i loro dettami lo avessero ridotto e gridando a gran voce la sua nuova anarchia, maturata tra una ferita e una cicatrice fisica e morale.

Don't occupy my throne
Give me the crown I own
Lived like you told me how
Look at me now

I've got no money in my pocket
And the whole world's bringing me down
And the whole world's bringing me down.


Perché ci aveva messo trent'anni, ma alla fine la relatività della vita gli era comparsa dritta davanti, un muro contro il quale si era finito per scontrare, rialzandosi stordito. Ed era lì che aveva capito che il bianco poteva essere nero, una menzogna vista dalla prospettiva opposta, una verità, l'alleato al cui fianco si era combattuto null'altro che un viscido traditore, la luce di una nuova speranza il luccichio di un'esplosione, l'abbandono un'opportunità di libertà.

One person's lie's just another man's truth
We kept on running from the devil, but the devil was you
Every time I see the light, I'm falling deeper in debt
If I've never seen the good, how can it come to an end?


Ma ormai la sua guerra era iniziata, e per nulla al mondo avrebbe represso il grido della sua regina. Voleva che il mondo gli portasse rispetto, lo guardasse per l'uomo che era e prendesse coscienza di tutto ciò che lo aveva costretto a diventare, nel bene e nel male. Perché in piedi su quel trono insieme a lei c'era anche lui, deciso a prendersi il suo riscatto sociale e morale, ergendosi in tutta la sua grandezza affinché il mondo fosse costretto ad osservarlo e non considerarlo più ciò che per anni era stato ai loro occhi. Un nulla!

Don't occupy my throne
Give me the crown I own
Lived like you told me how
Look at me now


L'avrebbe vinta quella guerra, l'avrebbe portata a casa quella vittoria, avrebbe accontentato la sua regina, il suo istinto, avrebbe lasciato brillare la sua energia vitale in tutto il suo splendore, in quell'universo atemporale in cui si era gettato, verso la terra promessa, prima di concedere al suo io mediatore di far rientro e conciliare il suo volere, lasciando tornare a governare il raziocinio, la pace, il giudice, il superio.

.

Di nuovo si risvegliò dal suo stato catatonico e catartico venendo però travolto da una sensazione molto diversa dal solito annebbiamento post-scrittura. Si sentiva una energia inaudita in corpo, quasi la sua regina stesse ancora galoppando sul dorso del suo destriero dentro di lui.

Si alzò di scatto dal letto, raccattando pc e fogli e si fiondò giù per le scale, nel salotto/sala prove deserto, proseguendo a tutta velocità verso il giardino, dove i ragazzi stavano ridendo, chi a bordo piscina, chi in acqua.
"RAGAZZIIIII!!!" li chiamò sbraitando a gran voce, sventolando in aria il testo nuovo con fare impaziente "Mi serve una base cazzuta, rock!!"

I musicisti si passarono uno sguardo perplesso tra loro, straniti da quella richiesta atipica da parte di un cantautore che aveva sempre composto pop.
"Rock....? Mika sul serio...?" chiese infatti Tim, che adorava quello stile ma sapeva bene di doverlo tenere a bada quando si trovava a lavorare con lui.

"Sì, sul serio! Questa canzone ha bisogno di rock! Nient'altro!" mise in chiaro il libanese con enfasi, esortando con un gesto gli amici a mettere fine alla pausa e seguirlo in casa.

"Uffaaaa Mikaaaaaa, mi stavo rilassando!" si lagnò giocosamente Max, nuotando verso riva sul materassino fluttuante a pelo dell'acqua.

"Dai scansafatiche, al lavooorooo!" ridacchiò Mika, lanciando l'asciugamano all'amico appena uscito.

Fu una jam session a dir poco strana, ma di quelle che si sarebbero ricordati a vita. Mika aveva un'insolita verve aggressiva e anche nella voce stupì tutti con le vocalità gravi seguite dai suoi magistrali acuti, che seppe trovare.

In coro innalzarono complimenti su complimenti per quella nuova peculiare creazione e una volta concluso, abbandonarono strumenti e fogli e si fiondarono, tutti insieme stavolta, in piscina con un tuffo collettivo.

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Seraaaaaaa!
Scusate l'attesa. Ieri ero al matrimonio di due miei cari amici e sono stata via tutto il giorno e oggi lavoro.
Un'altra nascita di una canzone, un'altra di quelle strane, complicate, belle da pelle d'oca.
So che molte di voi aspettavano con piacere la mia interpretazione di questa canzone, sono curiosa di sapere voi come l'avete interpretata e cosa ne pensate di questa.
Mi scuso per le risposte alle recensioni che latitano da qualche settimana, ma il poco tempo che ho per Two of a kind, preferisco sfruttarlo per scrivere altri capitoli. O vi rispondo, o scrivo, non ho tempo per tutte e due le cose al momento.
Vi lascio le tre caramelle per le vostre tre recensioni.

- "Inverno e luna calante e le lacrime svaniscono in un istante" quella frase Andy l'aveva sentita ogni anno pronunciata da suo nonno prima, da suo padre poi, e innumerevoli volte ripetuta insieme, padre e figlio, nonno e nipote.-

- Alexis provvide a legare la corda e il moschettone al piccolo imbraco e controllare fosse tutto ok, poi con un cenno diede il via al padre che con precisione lanciò il pesante arnese verso terra, facendo così salire il piccolo Andy, che faceva da contro peso sul lato esterno della corda a mezz'aria, come decine e decine di volte aveva fatto lo stesso Alexis fanciullo con nonno Petros.-

- Ventuno, no, ventidue, contando l'ultima che aveva appena chiuso. Lui che coi numeri non era mai stato bravo, per qualche inspiegabile ragione aveva ben stampata in mente la lunga lista di chiamate inoltrate al suo ragazzo negli ultimi 3 giorni, o forse, dato il numero nullo di risposte, colui che era ormai il suo ex.-

Un saluto!!
Buona settimana a tutte!
Vv  

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