Venti tra le stelle

251 11 0
                                    

"Porti fuori tu Mel quindi stasera?" chiese immediatamente il greco, sfruttando quella concessione come riscatto per la scommessa che aveva perso poche ore prima.

"La portiamo fuori insieme!" lo fregò però l'astuto quasi trentenne, avviandosi poi verso il salotto per raggiungere gli altri.

-*-*-*-*-*-*-*-*-

Rientrare in studio dopo mesi di registrazioni televisive e di studio intenso dell'italiano, fece sentire Mika completamente nel suo elemento, come da parecchio non si sentiva.

Lo studio: il suo ambiente naturale, qualcosa all'interno del quale si sentiva protetto, e in controllo della situazione, di cui conosceva le dinamiche e sapeva sfruttare ogni cosa a sua favore con una destrezza che gli veniva naturale come respirare. Il suo scrigno d'arte, la sua tela bianca, qualcosa su cui riversare la sua anima in totale libertà e onestà.

Il pianoforte in fondo alla sala lo osservava impaziente, quasi in una supplica ad avvicinarsi e farlo parlare, sussurrare, urlare.

Erano mesi che non scriveva una canzone, ma a differenza di due anni addietro, la sua testa era un alveare di idee, di concetti da plasmare in poesia, di ispirazioni da modellare e di suoni e parole da tracciare.

Non si poteva dire che avesse chiara una direzione di marcia, ma sapeva di essere nel mood giusto per poter creare, liberare ancora una volta quei frammenti di anima che solo riuscivano a spiccare il volo tra le note e i versi di una canzone.

La sua arte per lui era audacia, assidua intraprendenza, conflitto interiore ed esteriore e al contempo soddisfazione, atarassia; la perenne attesa di quel motore pulsante chiamato ispirazione, meccanismo propulsore la cui assenza era tradotta in agonia, perdizione e turbamento. Il suo io d'artista in mancanza di ispirazione regrediva all'epiteto di uomo, la cui ordinarietà era null'altro che il cancro distruttore del suo animo creativo.

La sua mente, l'otre dei venti di Ulisse. Uno scrigno ermetico, custode di pensieri dolci come le carezze di Zefiro, decisi come le folate di Euros, misteriosi e caldi come le sferzate del Libeccio che accarezza le sue terre natie, o violenti e impetuosi come tempeste sospinte dalla Bora o ancora dal Maestrale.

Scoperchiare quell'anfora e liberare i pensieri, uno dei suoi compiti d'artista.

Ma rovesciare quell'otre, equivaleva a dare sfogo a incontrollabili entità: idee, pensieri, ora leggeri ora invisibili e travolgenti, in grado di assumere identità proprie, e di condurre in direzioniinaspettate il navigare controllato di quel veliero di cui la razionalità è capitano.

Sciogliere i venti per poi riacciuffarli uno per uno, domarli e direzionarli con dovizia verso i drappi eretti sugli alberi maestridel proprio cammino, prima che ribelli e indisciplinati possano squarciare quelle vele e spezzare quegli alberi, conducendo verso un inesorabile naufragio.

Era un compito arduo che lui solo poteva affrontare, e sentirsi pronto era condizione necessaria.

Quel giorno in studio con lui c'era una giovanissima promessa del pop, una ragazza tutto pepe con tanta voglia di fare e tante idee per la testa, giunta direttamente da Miami, doveva aveva intenzione di trasferirsi a lavorare per il quarto album, non appena ne avesse avuto il tempo.

Mika gliel'aveva detto fin da subito: "Non so se sono in grado di spiegarti il casino che ho in testa al momento" ma lei aveva solamente risposto con un saggio "Meglio un gran casino che il vuoto assoluto".

Era rimasta a guardarlo per ore suonare melodie sempre diverse al pianoforte, scarabocchiare pezzi di frasi su fogli sparsi per la sala, canticchiare frammenti di strofe ancora senza una logica come un bambino che sparpaglia tutti i suoi giochi sul pavimento e solo con l'intero cesto riverso ai suoi piedi, riesce a trovare un nesso tra i vari pezzi, per costruire con la sua fantasia castelli, grattacielio città.

Two of a kindDove le storie prendono vita. Scoprilo ora