Mind boxes

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Aveva da studiare, da rispondere ad alcune mail importanti e aveva anche una commissione da sbrigare in città, ma gli ci vollero pochi secondi per rendersi conto di come in quel momento non avesse le forze fisiche e mentali per fare tutto ciò.

Sistemò a sua volta le stoviglie, lasciando i pochi bocconi rimasti nella ciotola di Mel e poi si diresse verso il salotto più piccolo, accomodandosi con il libro di italiano, che aveva raccolto dal tavolo più per dimostrare a sé stesso di aver almeno provato a rendere produttivo il post-pranzo, che per altro, e affondò senza molta grazia sul suo adorato divano verdone.

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Aprì il libro dalle pagine lucide e lo portò al naso ispirando profondamente quel profumo velato di inchiostro, fuso alla fragranza distintiva della carta, che in un baleno gli rinviò immagini nitide di uno dei primi libri della sua infanzia, che in braccio a suo padre aveva sfogliato talmente tante volte da ricordarsi ogni disegno distintamente.

Adorava leggere, nonostante la lentezza che l'avrebbe accompagnato a vita, e che da piccolo l'aveva portato ad odiare quel mondo per interi anni, amava perdersi tra le pagine di un libro. Ne possedeva a centinaia e la libreria che aveva nel suo studio era testimone di quella sua enorme passione che in certi momenti della sua vita si acuiva fino a trasformarsi in una sottile ossessione.

Portò il libro di nuovo alla giusta distanza, appoggiandolo sul cuscino davanti a sé e semi distendendosi sul fianco destro, con un braccio affondato tra le pieghe del divano a sostenere la testa riccioluta, andando immediatamente a cercare la pagina dei pronomi possessivi che doveva approfondire.

"Mio, tuo, suo, nostro, vostro loro." Ripeté un paio di volte, la prima mentalmente, la seconda ad alta voce, poi lasciò che il suo cervello andasse a ripescare, tra le varie scatole delle diverse lingue che conosceva, sistemate nella sua biblioteca mentale, la somiglianza più forte tra quel gruppo di parole e quelle contenute nei vari box.

La prima scatola nella quale andò a frugare, fu quella da cui più volte si era trovato ad attingere da quando aveva iniziato il suo studio di italiano e nella quale sembravano confluire spesso anche le parole nuove che imparava, mescolando i tasselli disordinatamente. "Mi, tu, su, nuestro, vuestro, sus"

Ragionò lentamente e comprese lo sbaglio che aveva fatto con Isabella, rispondendo alla frase sui colleghi di XF, eliminando dalla sua mente le corrispondenze sbagliate e salvando invece quelle che lo avrebbero aiutato a ricordare.

Chiuse quella scatola immaginaria e aprì quella immediatamente accanto, straripante di vocaboli e regole, andando a rovistare e trovando al volo ciò che cercava: "Mon, ton, son, notre, votre leur".

Bingo. Pensò soddisfatto notando come la terza persona plurale avesse finalmente una corrispondenza che gli rassomigliasse. Si appuntò tutto mentalmente, aprì la scatola in fondo allo scaffale mentale, quella più vuota e sistemò ordinatamente i nuovi tasselli di quel puzzle, chiudendola soddisfatto e facendo mentalmente un passo indietro, scrutando quella piccola libreria colorata su cui erano disposte diverse scatole di varie dimensioni.

La più grande e straripante era quella alla sua sinistra. Conteneva quella che considerava la sua lingua madre, la lingua nella quale componeva le sue canzoni, scriveva ai suoi collaboratori, parlava ai suoi amici e alla maggior parte dei suoi familiari. La lingua della città in cui aveva vissuto la maggior parte della sua vita, che considerava come casa sua e quella che la univa con la persona che aveva accanto.

Accanto a lei, ve n'era una leggermente più piccola ma comunque di enorme dimensioni. Quella era la scatola che conteneva la lingua della sua infanzia, quella con cui aveva parlato con gli amici all'asilo e nella quale aveva imparato a leggere e a scrivere in prima elementare. Era la lingua con la quale si ritrovava spesso a chiacchierare con le sue sorelle e con sua madre, quella che si divertiva ad utilizzare ai concerti in centro Europa, facendo impazzire i suoi fan. Era l'idioma con cui aveva addirittura osato scrivere alcune canzoni e che avrebbe dovuto sfoggiare davanti a milioni di telespettatori se avesse accettato la proposta di The Voice.

Immediatamente alla destra di quest'ultima, sempre in ordine di grandezza vi era un altro contenitore, stavolta notevolmente più piccolo dei precedenti. Quella scatola dai tratti gialli e rossi era quella che in quel periodo si era ritrovato ad aprire più spesso per ovviare alle sue carenze di italiano. In molte occasioni gli aveva salvato la faccia con Isabella, ed in molte altre l'aveva fatta ridere di gusto. L'aveva imparata in un doposcuola alle medie, e gli era tornata utile durante i suoi concerti in Spagna e Sudamerica. Gli piaceva molto, l'aveva sempre trovata affascinante e melodica e per quel motivo si arrabbiava quando notava che alcuni dei tasselli che vi erano contenuti da anni, erano stati modificati e spostati nella scatolina dell'italiano che teneva accanto.

Quest'ultima era infatti di piccole dimensioni, e nell'ultimo mese era stata cambiata con altre più grandi a ritmo costante. Era una lingua che lo stava letteralmente facendo impazzire, sia perché gli piaceva tantissimo, sia perché la stupidaggine, (sì perché in certi momenti era convinto fosse esattamente una stupidaggine) che aveva fatto accettando XF in Italia, gliela stava imponendo a ritmi serratissimi, al limite del possibile. I tasselli che erano distribuiti all'interno erano spesso sparsi alla rinfusa ma a poco a poco si stavano avvicinando tra loro come intelligenti calamite.

Alla destra di questa, vi erano poi altre 3 scatoline, tutte molto piccole.

Erano le lingue che aveva appreso ma che non aveva abbastanza dimestichezza da usare. La prima era l'arabo, la lingua madre di metà della sua famiglia, che aveva imparato un po' per osmosi dalle sue zie e da sua nonna, che capiva abbastanza ma che non sapeva davvero parlare, al di là di alcune frasi.

Vi era poi il piccolo contenitore del cinese. 8 anni di scuola avrebbero forse dovuto lasciare una quantità di tasselli molto più grande, ma la verità era che a lui quella lingua non era mai piaciuta e il doposcuola lo aveva frequentato solamente perché sua madre aveva insistito tanto per spedirci lui, Yasmine e Paloma. Il risultato erano poche parole sconclusionate, sparpagliate alla rinfusa, senza un criterio.

L'ultima scatola non era invece costituita da tasselli dello stesso colore, come le altre, ma conteneva minuscoli sacchettini di diverse sfumature dentro ai quali aveva inserito le varie parole imparate in giro per il mondo durante i suoi viaggi. Aveva pezzetti di portoghese, di coreano, di giapponese, di tedesco, di olandese e tante altre, ordinatamente disposti.
In fondo alla fila di sacchettini colorati ve n'era poi un ultimo, rilegato con un nastrino rosso ed un cuoricino appeso.

Quella era la lingua che adorava più di ogni altra sentire. Era una lingua con un suono di una particolarità e di una musicalità rara, a cui associava solo ricordi positivi. In quella lingua non sapeva che poche frasi e un po' di parole, ma la cosa strana, era che la maggior parte di loro erano termini quotidiani, intrisi di affetto, e che gli comunicavano nella loro pronuncia, anche ciò che talvolta il significato non sapeva fargli arrivare. Era una lingua che anche nella scrittura era per lui affascinante, che si componeva di lettere strane, ma che lui aveva sempre adorato, e di cui si componeva anche quel nome di quattro lettere che in rubrica aveva perennemente in cima alla lista di chiamate.

Quel nome che apparteneva alla persona con cui stava condividendo le mura, ma non le giornate dalla sera precedente.

Uscendo dalla sua riflessione mentale, che lo aveva risucchiato e intrappolato da un'ora buona, chiuse il libro con un sonoro ciack e si alzò velocemente dal divano, abbandonandolo tra i cuscini.

Gli ci era voluta una scintilla, un minuscolo lumicino arancione, la sera prima per far divampare quel fuoco di rabbia e incomprensione.

Gli era bastata una semplice sfumatura più intensa di luce nella notte scura per perdere la ragione.

Gli sarebbe bastato un semplice scusa e forse la loro incomprensione si sarebbe risolta con una nuova promessa.

Ciò che era stato detto era la ragione di quella loro lontananza, in quella vicinanza attesa da settimane, ma Mika decise, per sé e per lui, che quella stupida freddezza impregnata di orgoglio doveva cessare e doveva farlo all'istante.

Con un veloce balzo si alzò dal divano e a grosse falcate si diresse senza esitare verso le scale, salendo fino al piano superiore e spalancando l'ultima porta del lato sinistro di quel lungo corridoio, senza chiedere il permesso.

Andy, seduto comodamente sulla nera chaise-longue di fattezza corbusiana, smise di picchiettare sui tasti del suo McBook, voltandosi quasi spaventato dal rumore improvviso provocato da colui che si era appena fiondato nel suo studio senza la minima traccia di finezza.

"Avanti..." disse in tono seccato, in un tardivo e sarcastico invito, puntualizzando tra le righe il suo disappunto per quell'improvviso e inatteso ingresso per cui non aveva ricevuto richiesta di permesso.

Mika non sembrò però curarsi del suo tono e proseguì avanzando fino ad arrivare a un metro scarso da lui, appoggiando distrattamente una mano sul cuscino della chaise-longue e guardandolo dritto in faccia con sguardo deciso.

"Ascoltami un attimo, poi mi mandi a quel paese quanto vuoi" iniziò troncando le possibili lamentele del compagno e mettendo in chiaro come ciò che stava per dire era per lui di vitale importanza, tanto da essere anche disposto a ricevere i suoi insulti, una volta concluso.

Il tono un filo troppo autoritario del più grande, mise Andy sulla difensiva.

Chiuse infatti il pc, poggiandolo accanto, sul tavolino, e incrociò le braccia al petto, alzando gli occhi azzurri su di lui senza nascondere un'attitudine non troppo amichevole.

"Lo so che sei arrabbiato. Potrei star qui a dirti che mi dispiace per mezz'ora, per quello che ho fatto ieri..." iniziò quasi con fare sbrigativo, spiazzandolo con quella sua risolutezza.

Lo sapeva bene. Mika per scusarsi era solito formulare frasi poetiche lunghe interi minuti, monologhi che arrivavano al loro scopo dopo aver romanzato le sue intenzioni ed aver esternato ad una ad una tutte le sue mancanze e le sue colpe, arrivando ad implorare perdono e sfinendo Andy con un misto di espressioni tristi e pentite e un fare impacciato da fanciullo delle elementari davanti alla maestra.

"... e sarebbe vero, verissimo. Ma tanto lo so che delle mie scuse non te ne faresti nulla. Ti ho deluso. Hai ragione ad avercela con me, ma io ti amo e non ho intenzione di sprecare quel poco tempo che abbiamo da passare insieme così, come due bambini capricciosi, quindi per favore, finiamola qui."

Disse in maniera estremamente concisa e potente, lasciando Andy letteralmente senza parole, poi non appena finito di parlare, si abbassò verso di lui e preso il suo viso tra le mani gli rubò un intenso bacio, prima di lasciargli una carezza e tornare ad alzarsi in piedi.

"Ti aspetto di sotto" gli disse quindi con un sorriso sincero, voltandosi e dirigendosi verso il piano inferiore senza più proferir parola.

Andy rimase impalato sulla chaise-longue completamente di stucco, senza avere le forze mentali per tornare a rispondere al collega greco con cui stava chiacchierando in chat.

Mika lo aveva preso completamente in contropiede.

La cruda onestà, tramutata in arma aveva scalfito il suo muro di astio, facendo trapelare tra le crepe profonde, tutto il suo amore e desiderio.

Ci mise un paio di minuti a comprendere perfettamente e decidere il da farsi, ma poi si convinse che Mika avesse ragione. Avevano poco tempo prima che lui ripartisse e sarebbero stati due sciocchi a tenersi il muso in quel modo.

Si alzò dalla sua comoda sedia, scrisse all'amico greco di aver una cosa improvvisa da sbrigare e chiuse la conversazione per poi lasciare il suo studio e scendere velocemente al piano di sotto.

Mika se ne stava seduto sul suo divano preferito con il libro di italiano in mano, occupando il tempo, non troppo sicuro Andy avrebbe accettato di buon grado la sua proposta.

Il biondo entrò silenziosamente in salotto e rimase ad osservare per un lungo istante il compagno leggere qualche riga, alzare la testa e ad occhi chiusi ripetere qualche cosa a bassa voce per poi sorridere e continuare o mordersi un labbro e riprovare.

Lo vide d'un tratto interrompersi per uno sbadiglio a cui ne seguì un secondo e poi stropicciarsi gli occhi e scuotere la testa come per scacciare via la stanchezza, per riprendere quindi da dov'era rimasto.

Al greco a quella scena nacque spontaneo e inconscio un lieve sorriso.

Mika in quel periodo più che mai stava lavorando come un ossesso, preso da una miriade di impegni con cui doveva far conciliare anche lo studio dell'italiano, che anche per una persona come lui che già conosceva due lingue simili, non doveva di certo essere semplice in un periodo così ristretto.

Venne mosso da un moto di colpevolezza e si costrinse a valutare le ultime 24 ore, ma stavolta dal suo punto di vista.

Il giorno prima aveva lavorato tutto il giorno, fino a dimenticarsi della cena a cui gli aveva promesso avrebbe partecipato, aveva comunque preso un treno a tarda ora pur di arrivare a casa il prima possibile e una volta giunto a Londra aveva trovato la casa vuota e in giardino lo aveva visto fumare.

Dopo quella sua debolezza, palesata così sfacciatamente di fronte a Mika, doveva ammettere che nemmeno lui poteva dire di avere la coscienza perfettamente pulita, quindi seppellì definitivamente la sua arrabbiatura e avanzò piano verso il divano, sentendolo sussurrare parole a lui sconosciute senza sosta.

Quando gli fu dietro, gli passò le braccia sulle spalle, facendolo sussultare, udendo il fiume di parole interrompersi bruscamente, lasciandogli un bacio sulla guancia a mo' di scuse.

Mika non disse nulla, limitandosi a lasciarsi pervadere dal sorriso che gli nacque spontaneo e dal calore di quell'abbraccio, portando le mani ad avvolgere le sue e rovesciando la testa indietro in cerca del viso del biondo che in un attimo si avvicinò per impossessarsi delle sue labbra.

Quando il bacio terminò, Andy non perse tempo e aggirò il divano andando a prendere posto accanto a Mika che in tempo zero si lasciò affondare nei cuscini, tirando sopra di sé il biondino, il quale si accomodò meglio per avere libero accesso a lui senza pesargli troppo addosso.

Andy non perse tempo inutile e notando lo sguardo di chiaro ed evidente desiderio farsi strada sul volto del suo ragazzo, immediatamente andò a infilare con impazienza le mani sotto il maglioncino leggero che indossava, scostandosi di poco affinché riuscisse ad alzarsi quel tanto che bastava perché potesse sfilarglielo agevolmente e con esso far ricadere anche la maglia chiara che portava al di sotto, sul tappeto del salotto.

Il greco accarezzò gli addominali senza fretta, provocando già solo con quel gesto una scarica di endorfine e ormoni che pervase il moro, andando a concentrarsi in un punto ben preciso che Andy non mancò di percepire e che lo portò a rivolgere alla figura sottostante, un'espressione di compiaciuta eccitazione intrisa di orgoglio.

Mika ricambiò il sorriso, perfettamente in linea con il suo, per poi afferrare la maglia a maniche corte e tirarlo verso di sé, intrappolandolo con un bacio e una scia di piccoli morsi che risalì dal collo fino ad arrivare al pronunciato pomo d'Adamo che svettava in movimento, rincorrendo i respiri sempre più ravvicinati e affannosi del ventisettenne.

L'aria si saturò di quella ventata di passione, in un istante.

Mika, impaziente quanto Andy, si prese cura della veloce svestizione del suo amante, facendolo fremere al suo tocco e facendogli desiderare con più ardore il seguito che quella volta più del solito, non sarebbe tardato molto ad arrivare.

.

Il silenzio che avvolgeva la casa in quel momento era qualcosa di mistico e mesmerizzante. La sensazione di pace interiore che lo stava pervadendo in quell'ultima ora e mezza, Andy poteva dire di non ricordarla così forte da settimane.

Le leggere bolle d'aria danzavano dal fondo dell'idromassaggio librandosi verso l'aria, esplodendo in una tenue pioggia di fiocchi di schiuma nel raggiungere il pelo dell'acqua, saturando l'aria del gradevole profumo del bagnoschiuma, versato in quantità nell'acqua bollente solo qualche decina di minuti prima.

Il pomeriggio di tediosa condivisa ed autoimposta solitudine, spazzato via dall'audace franchezza di Mika e trasformato dall'eros in una salace e turbinosa libidine fisica e spirituale, aveva portato i due amanti, sazi della loro passione a godersi un meritato momento di rilassamento tra le fragranze delicate e le soffici onde di schiuma di quel luogo dove, se gli fosse stato possibile, avrebbero trascorso ore e ore ininterrotte.

Andy portò una mano a percorrere la superficie traslucida e cristallizzata dell'acqua accogliendo tra le dita la consistenza morbida e sfuggevole della candida schiuma, giocherellandoci distrattamente, intanto che la sua mente continuava imperterrita la sua esplorazione interiore.

Mika se ne stava semi-sdraiato, quanto le gambe gli permettevano, con la schiena a contatto diretto col torace del biondo, immerso fino al mento nell'acqua profumata, sprigionante vapore, addormentato con il capo poggiato in parte contro la guancia destra del compagno che lo sorreggeva senza muoversi, rilassato da quella tranquillità insolita.

Il biondo portò distrattamente una mano sui capelli bagnati, quasi lisci e scuri, scostandolo appena e portandolo a riposare più comodamente sula sua spalla, lasciandogli un bacio lieve sulla tempia e sorridendo.

Solo due ore prima, quando se ne stavano ognuno per i fatti propri, avrebbe solo potuto sperare reconditamente un momento come quello. Doveva ammettere che la schiettezza di Mika certe volte era veramente una manna dal cielo.

E sapeva quanto un passo simile potesse costare ad una persona dannatamente orgogliosa qual era il suo ragazzo.

Rimase ad osservarlo riposarsi. Lo aveva intravisto quella mattina di nascosto, sbadigliare senza sosta durante la lezione, così come lo aveva sorpreso sul divano poco prima di avvicinarglisi ed abbracciarlo.

Sospirò.

Quell'anno, forse più che i due trascorsi da quando aveva lasciato il lavoro al suo fianco, si prospettava tosto sul fronte impegni lavorativi di Mika.

Rimuginò a lungo e si impose un minore rigore nei suoi confronti e una maggiore pazienza, conscio che un battibecco tra loro avrebbe solo scombussolato inutilmente la vita frenetica che l'avrebbe travolto nei mesi a seguire.

Rimase in riflessione per un'altra manciata di minuti, poi iniziando a sentire freddo alle spalle non coperte dall'acqua, decise di svegliare il compagno e una volta asciutti e vestiti magari fare merenda insieme.

Unì le mani a mo' di coppa e portandole sotto il pelo dell'acqua, ne sollevò una buona quantità, lasciandola ricadere piano sulla testa del riccio che dopo pochi secondi aprì gli occhi un attimo frastornato, mettendo a fuoco il luogo inusuale in cui si era finito per appisolare.

"Buonasera!" trillò gioioso Andy, andando a lasciargli un urgente bacio sulle labbra, per poi passargli un dito sulla punta del naso e depositargli una pallina di schiuma.

Mika sorrise, percependo il cuore aumentare leggermente il ritmo, troppo contento di quel risveglio da favola per riuscire a controllarsi, quindi soffiò verso l'alto facendo svolazzare la volatile schiuma che con un vorticare lieve andò a posarsi sulla massa di capelli scuri, appiattiti in testa.

Andy ridacchiò e poi preso il doccino, iniziò a sciacquarsi la testa dai rimasugli di sapone ancora appiccicati, dirigendo poi il getto direttamente sulla testa di Mika una volta finito, per fare lo stesso, prendendolo però inaspettatamente, e sentendolo tossicchiare appena dopo aver inspirato l'acqua dal naso.

"Non conosco persona meno acquatica di te" lo prese in giro Andy, mentre Mika aveva allungato una mano per cercare di scostare quella cascata d'acqua da sopra di sé.

"Certo! Cerchi di affogarmi, io cosa dovrei fare?!" lo rimbeccò il riccio, riuscendo finalmente ad averla vinta su di lui.

"Io cosa?" replicò però il greco a quell'affermazione stizzita, muovendosi da dietro di lui in un movimento rapido e aiutandosi con la mano, facendolo finire completamente sott'acqua per un brevissimo secondo, prima di dargli il via libera verso la superficie, e verso gli insulti che sapeva sarebbero seguiti.

"Adesso puoi dirmi che cerco di affogarti..." lo schernì con un sorrisone da furbacchione, mentre Mika riemergeva con sguardo carico di vendetta, togliendosi di nuovo la schiuma dal viso che aveva vanificato il risciacquo di prima.

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Buoooongiorno. Ho ricevuto minacce di prima mattina, quindi mi accingo a pubblicare ;) ;P
Capitolo strano. La riflessione iniziale è certamente particolare. Credo lo sappiate che ho studiato lingue, quindi capisco molto bene il modo di ragionare di Mika perchè chiunque ne parli più di un paio, finisce per fare ragionamenti simili studiando una lingua nuova, per minimizzare lo sforzo cognitivo. Io vedo la testa un po' come una sorta di mind-palace, chi ha letto o visto Sherlock, sa di cosa parlo, e credo che le lingue abbiano una sorta si scomparto a sé, dove si dividono per scatole, contenenti tutta quella miriade di pezzetti di puzzle che la mente è poi in grado di assemblare più o meno velocemente a seconda di quando conosciamo ciascuna lingua, per fornirci la capacità di lettura, ascolto, dialogo ecc.
Tutto questo per introdurre la riflessione di Mika e la sua presa di posizione.
Sapete che i miei ragionamenti a volte sono strani dai... Ci avrete fatto l'abitudine ormai. Spero di non avervi tediato o meglio proprio rotto le palle con questo ragionamento da linguista esaurita e vi aspetto qua sotto o con le recensioni sotto la storia in efp a cui lascerò spoiler come caramelle.
Ps. Per chi mi volesse recriminare l'assenza del chiarimento sull'argomento fumo dei due, sappia che non c'è in questo capitolo, ma ci sarà...
Me ne vò!
A domenica prossima!
Vv  

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