Dopo numerosi tentativi Mika si diede per sconfitto, chiamando un meccanico.
Il silenzio, accompagnato solo dal rumore della pioggia venne spezzato da una semplice affermazione di Fortuné: "Devo assolutamente mandare un messaggio a Andy!"
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Per Mika l'ennesima giornata caotica di ottobre era stata colma di cose da fare dalla mattina alle 8 in studio, fino a quel momento. Finalmente si sedette sul divano esausto. "Vuoi una birra?" chiese Paloma dalla cucina del suo nuovo appartamento, preso in affitto insieme ad un'amica. Il fratello l'aveva aiutata a sistemare gli scatoloni per il trasloco, facendo avanti e indietro lungo le 4 rampe di scale, innumerevoli volte e in quel momento era decisamente stanco.
"Sì ti prego!" esultò il riccio, facendo ridere sia la sorella che Dana, l'amica di lunga data con cui Paloma aveva deciso di andare a convivere, per guadagnarsi un po' di quella tanto agognata indipendenza.
"Non sai cosa darei per avere un fratello come te!" disse la trentenne inglese, entrando a sua volta nel piccolo salotto e prendendo posto accanto a lui.
La ventinovenne moretta fece capolino a sua volta nella stanza con una birra fresca in mano e una di succo per lei e Dana. "Giù le mani! Sono molto possessiva quando si parla del mio fratellino!" disse scompigliando i ricci al ragazzo che con un mega sorso aveva già attaccato la sua birra.
Per festeggiare il trasferimento della coppia di amiche, per quella sera era prevista una piccola festicciola a cui gli invitati avrebbero iniziato ad arrivare di lì a poco, quindi le ragazze dopo la pausa tornarono ad occuparsi delle ultime cose.
Mika si intrattenne alla serata insieme a Fortuné, che a inizio pomeriggio aveva a sua volta aiutato, fino quasi mezzanotte, poi stanco dalla giornata salutò la sorella, l'amica e gli invitati e tornò a casa.
Quella, fu una notte indimenticabile.
Il bussare frenetico di Dana alla porta di Mika alle 5 del mattino.
Le parole taglienti e sconcertanti dell'amica.
La corsa nella notte fredda della città, in nient'altro che boxer calzini e una t-shirt sgualcita.
Il battito impazzito del suo cuore.
La paura, il gelo nelle ossa e l'incredulità.
Lei... Lei immobile.
I suoi occhi spaventati.
Lui inerme e disorientato.
Le lacrime di Dana.
Le luci blu e rosse, riflesse sulle pareti bianche delle case.
Il rumore stridente dei flessibili dei vigili del fuoco.
Il suono penetrante delle sirene.
La chiamata a Dubai.
Il silenzio e le preghiere del vicinato, sveglio ed incredulo.
L'elicottero in volo sopra i tetti di Londra.
Le 14 ore più lunghe della sua vita.
Il silenzio della sala d'attesa.
Le espressioni sconcertate della famiglia.
I pensieri inevitabili.
Le parole dette ma non udite.
Le lacrime trattenute.
L'attesa.
La speranza.
Le ore di quella notte trascorsero con una lentezza surrealmente devastante.
Non c'era una singola persona che osasse parlare.
Gli sguardi e gli abbracci bastavano a descrivere lo sconcerto, la paura e la speranza celata in ognuno.
Mika come spinto da una forza sovrannaturale, agì come doveva. Avvertì suo padre e Zuleika, all'estero per lavoro e per studio, avvertì Andy con un messaggio che avrebbe letto l'indomani, parlò con i medici, si prese cura di qualunque formalità fosse necessaria.
La razionalità intrinseca, nascosta in ogni uomo, prese il comando delle sue azioni, guidandolo sapientemente verso ciò che avrebbe dovuto fare, per il bene di sua sorella e per gestire quel macigno enorme piombatogli sulle spalle con la forza di un uragano.
Chi si ritrovava ad incrociarlo per i corridoi bianchi e spogli o per le strade della città, avrebbe pensato ad un normale ragazzo che con tranquillità e razionalità si occupava di normali faccende quotidiane.
La scioccante notte che aveva appena trascorso e le conseguenze da essa derivate, sembravano non sfiorare il rigore con cui affrontava ciò che doveva.
La sua mente non aveva interiorizzato l'accaduto. Quelle immagini nitide e inenarrabili, impresse a fuoco, erano state come accantonate in un angolino remoto della sua testa.
Non seppe quante ore passò seduto su una scomoda sedia di ospedale, non contò le volte in cui alzò la testa per cercare lo sguardo di un medico che gli dicesse di stare tranquillo, che sua sorella ce l'avrebbe fatta.
Perse il conto degli abbracci che donò a sua madre, a sua sorella Yasmine o a suo fratello, cercando di consolarli, tentando di instillare in loro un briciolo di speranza, che non era certo di avere neppure dentro di lui.
Non si rese conto del tempo trascorso senza neppure toccare un misero tozzo di pane, o un bicchier d'acqua. Non percepì il freddo della notte e dell'infinità di attimi trascorsi in boxer e maniche corte, a piedi semi scalzi per Londra.
Non avvertì il tepore della coperta che un pompiere ebbe la cortezza di posargli sulle spalle, né il caldo dei vestiti che sua sorella Yasmine gli aveva provveduto a fare avere.
Le sue emozioni sembravano quasi fluttuare nell'aria, distaccate da lui.
Esisteva solo Paloma. Tutto ciò che la sua mente continuava a riproporgli erano immagini della sorella a cui era più legato. Non rivedeva il suo sguardo perso e dolorante però. La pellicola che scorreva nella sua testa in quel momento la ritraeva sorridente, solo poche sere prima, durante la piccola battaglia tra fratelli, avvenuta nel salotto della loro casa familiare.
Non seppe come si ritrovò a casa dei suoi genitori per la notte. Non ricordò di aver trascorso praticamente 24 ore filate seduto su una sedia in attesa.
Non ricordava nulla. Solo agiva come sapeva di dover fare, come un automa.
Fu così che lo trovò Andy quando rientrò trafelato a Londra.
Thyrsos fortunatamente era una persona estremamente umana ed empatica e non appena aveva saputo, non aveva esitato a dare al ragazzo il permesso di prendersi del tempo per poter stare accanto al suo compagno.
Il greco aveva parlato al telefono con Mika poche ore prima. Aveva saputo l'esito positivo dell'intervento raccontato con meccanicità in tono quasi freddo e impassibile dal suo ragazzo.
Non sapeva cosa aspettarsi da tutta quella situazione.
La prima persona che incontrò nella villetta di South Kensington, dove Mika era tornato per sostenere la famiglia, fu Joanie.
Il suo sguardo distrutto, Andy era certo, se lo sarebbe ricordato a vita.
Non aveva saputo cosa fare in un primo momento, trovandosela davanti, ma l'abbraccio nel quale la donna lo aveva racchiuso, aveva rotto quella momentanea situazione di imbarazzo.
Il grazie sincero appena sussurrato, fu la conferma di aver fatto la scelta giusta, e quando in silenzio gli indicò con la mano il piano superiore, dove Mika si trovava, non poté fare altro che ringraziarla con uno sguardo carico di affetto e proseguire poi verso la vecchia camera da letto del suo compagno.
Quel percorso che portava al piano superiore Andy se lo ricordava bene, benché lo avesse percorso poche volte.
Quando arrivò davanti alla porta della camera non seppe cosa fare, non era sicuro di avere il permesso di invadere quello spazio senza prima annunciarsi.
Si avvicinò con passo lento e silenzioso, quindi dopo un attimo di esitazione bussò piano.
Non vi fu alcuna risposta a quella richiesta, ma la porta si spalancò immediatamente davanti a lui.
"Non bussare!" fu la prima cosa che udì dalla voce stanca e roca di Mika, che parlò quasi in tono minaccioso.
Andy si bloccò sulla soglia della stanza senza avere laminima idea di come comportarsi e osservò la persona che aveva davanti, in piedi a pochi centimetri da lui.
Era vestito con una semplice felpa chiara e un paio di jeans, i capelli non troppo lunghi erano scompigliati, di sicuro ci aveva intrecciato le mani più di una volta.
Il viso era incorniciato da una barba di un paio di giorni, i muscoli erano tesi e i suoi occhi erano...
Ciò che vide in quegli occhi, Andy non lo seppe mai descrivere.
La vivace spensieratezza che brillava costantemente tra le mille sfumature castane di quelle iridi che ben conosceva era completamente sparita, svuotata, smaterializzata.
Al suo posto in quel momento vi era una durezza e una freddezza assolutamente fuori luogo in lui che lo fecero per un attimo rabbrividire.
Si era aspettato di trovare due occhi gonfi di lacrime e dolore, simili a quelli della madre Joanie, invece in quello sguardo non vi era traccia alcuna di pianto. Le sue guance non sembravano possedere le impronte tipiche delle gocce di tristezza che avrebbero dovuto accompagnare un momento simile.
Con cautela portò lentamente una mano alla sua guancia.
Mika non si avvicinò, né si ritrasse. Rimase immobile, ancora con la mano sulla maniglia e quell'espressione intimidatoria con cui aveva spalancato la porta.
"Non bussare." ripeté di nuovo dopo un breve attimo, come a voler rimarcare il concetto affinché fosse ben chiaro al suo interlocutore.
Andy fece un passo verso di lui e prima che potesse scostarsi o sfuggirgli lo strinse a sé in un forte abbraccio, trattenendosi dallo scoppiare a piangere.
Mika, preso alla sprovvista, per alcuni secondi non ricambiò poi alzò le braccia verso la sua schiena e lo avvolse senza troppa enfasi.
Erano le 6 di pomeriggio, il cielo fuori dalla finestra illuminava la stanza con le luci cupe e bluastre del crepuscolo.
Dal piano di sotto provenivano le voci appena accennate dei genitori di Mika, mentre per il resto della casa, regnava un silenzio assordante.
Quando Andy sciolse l'abbraccio, Mika si voltò verso il suo letto e con pochi passi lo raggiunse sedendosi staticamente, aspettando senza fargli cenno, che il biondo facesse lo stesso.
Il greco capì senza bisogno di parole o di gesti. Prese posto accanto a lui e si limitò a passargli una mano sulla schiena in un lento movimento circolare.
Se ne stava in silenzio ma dentro di sé avrebbe voluto chiedergli una miriade di cose. Sapeva solo che cosa fosse successo, dalle poche cose che Mika gli aveva spiegato per telefono. Non sapeva molti dettagli, che il riccio non gli aveva raccontato. A dirla tutta, non sapeva praticamente nulla, ma se ne guardava bene dal chiedere informazioni.
L'atmosfera pesante e opprimente che si respirava tra quelle mura era un macigno enorme da sopportare. Il silenzio soffocante faceva quasi male alle orecchie. Mika non sembrava in grado di interagire con il mondo esterno e Andy non aveva idea di cosa fare. Ad essere sincero non sentiva nemmeno di avere il permesso di rompere quella pesante staticità, come se il mondo da cui era circondato non gli appartenesse.
In quell'universo ovattato e perso stettero vicini senza percepirsi, troppo impegnati a cercare di far fronte ad una situazione devastante e infinitamente più grande di loro.
Stettero l'uno seduto accanto all'altro in un reciproco statico conforto forse per un paio d'ore, e si separarono solo quando Yasmine si presentò nella stanza.
La maggiore dei fratelli rivolse un lieve sorriso di ringraziamento a Andy per la sua presenza ed il suo appoggio e poi lo prese per un attimo con sé, lasciando Mika da solo.
La trentaduenne a differenza del fratello, di parole ne aveva.
Comprendendo il desiderio non espresso del ragazzo, a cui non era sicura fosse stato raccontato ciò che era avvenuto, si prese un momento e spiegò al cognato cosa fosse successo quella notte.
Gli rivelò i retroscena di quell'orribile incidente e gli riferì come il suo ragazzo avesse vissuto la vicenda in prima persona, rendendosi referente della famiglia in di tutte le operazioni di soccorso.
Gli spiegò come da giorni non dormisse, mangiasse e parlasse il minimo indispensabile e non avesse mai fatto capolino in lui un attimo di cedimento emotivo.
Conoscendo il forte legame dei due ragazzi, chiese disperatamente ad Andy di prendersi cura di lui come lei, la madre e il resto della famiglia, forse non erano riusciti a fare al meglio in quei giorni, troppo occupati a stringersi attorno a Paloma ed a cercare di calmare il loro stesso dolore.
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Two of a kind
FanficLa Mikandy più lunga che sia mai stata scritta. La loro vita raccontata dagli albori fino al 2015. 1000 pagine di word, 200 capitoli, 4 anni e mezzo di pubblicazione. Andò a posare le mani sulle sue ginocchia, accucciandosi di fronte a lui, cercan...